J.F. Martel è un filmmaker, scrittore, conferenziere e podcaster canadese. Per lui l'arte è piena del mistero stesso della vita
J.F. Martel è un filmmaker, scrittore, conferenziere e podcaster canadese. Come regista, ha diretto documentari e lungometraggi francesi e inglesi incentrati sull’arte e sulla cultura; come autore ha pubblicato Reclaiming Art in the Age of Artifice, un libro sul potere dell’arte. Martel è anche co-conduttore del podcast Weird Studies insieme al musicologo Phil Ford. Recentemente ho avuto occasione di conoscerlo di persona nel corso del New York Encounter, che lo ha visto come speaker in What beauty can do to the soul, una conversazione su bellezza ed animo umano. E quel che mi ha incuriosito di più è stata… la sua curiosità. Di qui la voglia di risentirsi ancora.
Regista, scrittore, conferenziere, podcaster, lei sembra un sacco di cose. Chi è J.F. Martel? È questa la sua vera vita?
Come freelance fin dai miei vent’anni, ho dovuto indossare molti cappelli e cogliere le opportunità che mi si presentavano. La scrittura è venuta naturale e il cinema è seguito. Non avrei mai immaginato di dedicarmi ai podcast, finché Phil Ford, il mio co-conduttore di Weird Studies, mi ha convinto a trasformare le nostre conversazioni filosofiche in un podcast. In definitiva, vedo questo, le conferenze e i film come estensioni della mia scrittura. Scrivere, per me, è la vita reale.
Lei si considera un “ricercatore” o un “maestro”? Se un ricercatore, che cosa sta veramente cercando? Se un maestro, dove affonda le sue radici la sua conoscenza?
Per un certo periodo ho pensato di intraprendere una carriera accademica e di diventare una sorta di “maestro”. Ma alla fine non era questo il mio destino. Troppe cose mi interessano e le mie ricerche intellettuali, per quanto siano, spaziano in diversi campi. In altre parole, sono un cercatore, in tutto e per tutto, anche se non è facile dare un nome a ciò che cerco. Un senso del miracoloso, forse. La sensazione di abitare un universo sacramentale. Una fessura nel mondo moderno in cui irrompe il meraviglioso. Qualcosa del genere.
“Recuperare l’arte nell’era dell’artificio” può probabilmente essere considerato il suo impegno più grande. Può dirci in poche parole qual è il cuore di questo lavoro?
A un certo punto mi sono reso conto che l’arte è radicata in un impulso religioso, e con questo intendo la sete di significato e di mistero. La società moderna reindirizza questo impulso in tutti i modi, tanto che molti artisti perdono il contatto con esso nel tentativo di “farcela”. Volevo scrivere un libro per quella parte di noi che ricorda, anche se vagamente, cosa significa tremare alla vista del cielo notturno o al suono di una frase musicale. Mentre lo scrivevo, mi è venuto in mente che il libro riguardava solo superficialmente l’arte, poiché ciò che designa con questo termine è così parte integrante della nostra umanità da essere universale. In fondo, questo è un libro che ci chiede di ricordare che abitiamo nel mistero.
Lei ha scritto: “L’arte è il nome dato alla risposta più primordiale dell’umanità al mistero dell’esistenza”. Arte e bellezza vanno sempre insieme? E dove vanno? Cosa ci fanno?
L’arte ha certamente a che fare con la bellezza, anche se è prerogativa dell’artista trovare la bellezza in luoghi improbabili, a volte persino in luoghi che alcuni di noi potrebbero trovare brutti o terrificanti. Ma gli artisti non hanno il monopolio della bellezza: la trovano, ma non possono crearla. La bellezza è trascendente e selvaggia: il mondo è soffuso di bellezza anche quando nessuno se ne accorge. Robinson Jeffers ha scritto: “La bellezza delle cose è nata prima degli occhi e basta a se stessa; la bellezza che spezza il cuore / Rimarrà quando non ci sarà un cuore che si spezza per essa”. La mia fede mi dice che gli esseri umani sono stati creati nella bellezza. Non è stato il contrario.
Sempre alla ricerca della “bellezza”. Abbiamo appena vissuto i giorni della passione di Cristo. Dov’è la “bellezza” nell’essere crocifisso?
Dov’è la “Bellezza” nelle guerre che imperversano in tutto il mondo, nell’odio e nell’ideologia che dividono i popoli? Non è forse un’astrazione. L’asse della bellezza incrocia quello del bene, ma non è la stessa cosa. Il Bello si riferisce a quella dimensione del divino che può spaventarci o inquietarci. Questo non nega il Bene: è un asse diverso. Vedo la bellezza come segno dell’immanenza di Dio nel mondo. Anche nell’orrore, anche sul Golgota, non è meno presente di Dio. È una verità difficile da elaborare, ma come potrebbe essere altrimenti?
Lei è un uomo di fede, che lavora in un mondo per lo più di non credenti. Cosa spera in una circostanza come questa?
È vero che frequento ambienti per lo più laici e sospetto che il mio cattolicesimo sia fonte di perplessità per molti dei miei amici e colleghi, per non parlare degli ascoltatori del podcast che conduco. Molte persone nel mondo laico credono che la pratica religiosa, cattolica o di altro tipo, restringa la mente e l’immaginazione. Naturalmente è vero il contrario: la fede libera l’io interiore, anche solo permettendogli di esistere al di là dello spazio all’interno del nostro cranio. Suppongo di cercare di dimostrarlo attraverso il mio lavoro, impiegando un linguaggio laico che è attraversato da una sensibilità religiosa. Non sono un teologo e credo che sarei un pessimo proselitista. Il meglio che posso fare è svegliare le persone sulla stranezza dell’esistenza, una stranezza così profonda che persino qualcosa di strano come la Resurrezione potrebbe essere accaduto.
(Riro Maniscalco)
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