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Home » Educazione » Riforme scolastiche » SCUOLA/ Nuove Indicazioni nazionali, quello che (forse) non si dice del metodo

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SCUOLA/ Nuove Indicazioni nazionali, quello che (forse) non si dice del metodo

Fabrizio Foschi
Pubblicato 19 Febbraio 2025
(Ansa)

(Ansa)

Le nuove Indicazioni nazionali per la scuola del primo ciclo segnano un ritorno ai “contenuti”, ma sembrano ignorare alcune domande importanti

Le nuove Indicazioni nazionali del primo ciclo (3-14 anni) che entreranno in vigore dall’anno scolastico 2026-2027 nascono in polemica con quelle precedenti del 2012, aggiornate nel 2018. Le “vecchie” Indicazioni nascevano da un grande tavolo ministeriale dove si confrontavano diverse visioni della scuola e della didattica, fino all’inevitabile compromesso tra scuola del curricolo, dove le discipline sono organizzate per aree dalle scuole in autonomia, e scuola della cittadinanza attiva, che evidentemente privilegia alcune discipline o alcune attività rispetto alle altre (lingua italiana, lingua inglese e seconda lingua comunitaria, storia e geografia, arte).


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Un altro compromesso raggiunto era quello tra la scuola dell’orientamento, in cui i materiali forniti agli alunni fungono più che altro da sollecitazione per la costruzione del sé, e la scuola delle discipline, intese come “modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo”.

Il rischio di una eccessiva genericità degli apprendimenti sembra ora voler essere superato dalla preannunciata revisione, che graviterà attorno a contenuti più che a metodi. Va tenuto conto che si tratta di indicazioni prive per definizione di categoricità: è infatti preannunciata l’introduzione di un’ora di latino (opzionale) dalla seconda media, dell’epica classica (fino a comprendere la saga di Percy Jackson!), dello studio della Bibbia, della storia fin dalle prime classi della scuola elementare previa eliminazione della geostoria, della musica.


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Non c’è motivo perché queste scelte non debbano essere accettate dalle scuole autonome, dagli insegnanti e dai genitori, costituendo un arricchimento e non una privazione o, peggio, un fattore di discriminazione. Il problema semmai è un altro. Chi insegnerà tutto questo? O meglio, come?

Secondo una recente ricerca dell’Indire i metodi di insegnamento, tenuto conto anche dello sviluppo delle nuove tecnologie informatiche, sono venticinque. Si va dalle “aule disciplinari”, in cui “è il ragazzo alla ricerca della conoscenza” e nelle quali l’ambiente è collegato alla disciplina di riferimento, al metodo dell’apprendimento cooperativo, in seguito al quale gli studenti lavorano in piccoli gruppi eterogenei  per attività di apprendimento e ricevono una valutazione dei risultati conseguiti.


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Si va, ancora, dalla didattica laboratoriale, in cui “gli studenti partecipano attivamente al percorso di apprendimento, valorizzando le diverse abilità e competenze sociali”, al digital storytelling, mediante il quale si organizzano dei contenuti digitali all’interno di una struttura che abbia un elemento narrativo: il risultato finale che si va a ottenere è quello di un racconto costruito tramite un elemento multimediale come video, audio, testi, mappe, immagini e non solo.

Si potrebbe continuare, ma questo assaggio è più che sufficiente per sostenere un semplice assunto: il metodo è un complesso di fattori che consentono di procedere più organicamente possibile nell’acquisizione di nuove conoscenze. L’uso corretto di un metodo favorisce il raggiungimento di un determinato fine e sviluppa, se corretto rispetto al fine, le competenze adeguate ad affrontare una certa situazione.

Ne deriva che l’innovazione dei contenuti o la riscrittura delle Indicazioni, come è il nostro caso, ha un valore relativo se non avviene parallelamente ad una riflessione sul metodo di insegnamento-apprendimento. La didattica laboratoriale non sarà utile in tutti i casi e per tutte le discipline, così come potrà non essere utile universalmente una didattica puramente trasmissiva che non coinvolge l’interesse e la partecipazione degli alunni.

Ma, ancora, la questione del metodo ne innesca un’altra, relativa al ruolo dell’insegnante nella “scuola del merito” e delle rinnovate Indicazioni nazionali. L’indubbia importanza che rivestono i cambiamenti preannunciati dal ministro Valditara richiederà un’adeguata preparazione degli insegnanti, che dovranno dismettere la veste di semplici esecutori e riprendere quella di promotori di cultura. Si parla di arte, di epica, di letteratura, di poesia.

Chi sarà portatore di tale patrimonio di bellezza presso gli alunni più piccoli e bisognosi, per quanto magari distratti? Se ne dovrà parlare attentamente per non svuotare da subito il senso di una messa a punto programmatica, utile soprattutto se non caricata del peso di una inversione di marcia, non si sa bene verso quali orizzonti.

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Tags: Giuseppe Valditara

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