Il libro di Sergio Vento, “Il XX secolo non è finito. Transizioni e ambiguità” è uno sguardo analitico e rivelatore sulla crisi della nostra politica estera
Il libro-diario dell’ambasciatore Sergio Vento, Il XX secolo non è finito. Transizioni e ambiguità (Rubbettino, 2024) riesce ad unire la freschezza e vitalità della biografia con l’analisi storica. D’altronde l’osservatorio di Vento è stato eccezionale. Entrato alla Farnesina nel 1963, ha iniziato un viaggio durato più di quarant’anni nel mondo della diplomazia. Sottosegretario di Stato con Arialdo Banfi e Mario Zagari, e poi in giro per il mondo tra Buenos Aires, Ankara, il Medio Oriente, l’OCSE a Parigi; collaboratore di Giuliano Amato e Gianni De Michelis, ambasciatore a Belgrado, poi di nuovo consigliere diplomatico di ben quattro presidenti del Consiglio, ambasciatore a Parigi, rappresentante permanente all’ONU e infine nel 2005 ambasciatore a New York, dove ha concluso la sua gloriosa carriera diplomatica. Ma non quella di studioso, continuata nella LUISS.
Molti sono gli spunti e i fili del ragionamento, primo tra tutti la profonda trasformazione del mondo, passato dal culmine della Guerra fredda con la crisi di Cuba del 1962 alla fine del bipolarismo con la caduta del Muro. La conseguenza furono le guerre balcaniche, la dissoluzione dell’ex Jugoslavia, che Vento seguì direttamente, con l’assenza d’azione dell’Europa sostituita dalle mire tedesche, e l’unipolarismo americano, il sorgere del terrorismo internazionale di matrice islamista. Da qui il titolo del libro: un secolo, il ventesimo, che che non è mai finito.
Per Vento le regole della politica internazionale sono sempre le stesse. Le relazioni tra gli Stati sono sempre segnati dagli interessi nazionali e dalle relazioni di forza e di potenza che ne derivano. A cambiare è il quadro, il contesto, la dinamica, ma non la logica.
E i passaggi sono lineari e consequenziali, doverosi per ogni Stato. Identificazione degli interessi nazionali, loro gerarchizzazione, cioè in primo luogo tutto ciò che attiene alla sicurezza nazionale, costruzione di un sistema coerente che coordini tutte le politiche, e tutti gli attori, e infine analisi dei sistemi internazionali – alleanze, partenariati, azioni multilaterali – per definire la rotta.
Per un Paese come l’Italia che stenta a fare sistema (per altro da noi è divisiva in modo becero anche la politica estera), non è qualcosa da poco, e infatti è assente quel concetto di “Grand Strategy” ben presente nella cultura anglosassone. Da qui la prima indicazione politica concreta di Vento (pag. 251). All’Italia manca un organo esecutivo della politica estera che coordini tutte le azioni, le agenzie e gli attori che il nostro Paese mette in campo. È assente quel Consiglio per la sicurezza nazionale assolutamente necessario in un mondo dove dominato dalla cosìddetta Vuca (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity) e quindi dove i cambiamenti sono all’ordine del giorno.
L’inadeguatezza dell’Italia non deriva però solo da deficit istituzionali e di cultura politica. Per noi italiani il XX secolo si è chiuso in modo drammatico. E Vento sottolinea in modo sconsolato i passaggi, da quelli interni a quelli geopolitici.
Si possono contare ben tre passaggi che hanno ridotto sia le nostre capacità d’azione che la proiezione internazionale dell’Italia. Innanzitutto, la riduzione del nostro soft power a causa della liquidazione, con le privatizzazioni, di molti di quei campioni nazionali che hanno fatto grande nel dopoguerra l’Italia nel mondo. L’industria chimica, l’industria automobilistica, i grandi gruppi agroalimentari, la stessa Eni, sono un ricordo del passato, e l’ambasciatore sottolinea a ragione come la scomparsa di simili protagonisti mini alla base la capacità di azione di un Paese, perché toglie non solo il “vile denaro”, ma relazioni, alleanze, canali extra ufficiali, know-how politico.
In secondo luogo, il dopo-Guerra fredda per l’Italia è stato drammatico, perché ci ha portato via il nostro estero vicino, quella che una volta era la Jugoslavia, prima smembrata in province tedesche e staterelli instabili, terre che vedono ben presente la Turchia. Passaggi per noi epocali avvenuti in una situazione interna di estrema debolezza, mentre il Paese era sconvolto da una crisi poliedrica, sistemica, perché istituzionale, politica, sociale come è stata la dissoluzione della “prima repubblica”, definita con orridi neologismi “Mani pulite” o “Tangentopoli”.
E infine l’ultimo atto, dovuto tutto ad un mix di stupidità, arroganza e velleitarismo. Mi riferisco alla guerra libica e alla deposizione di Gheddafi del 2011, con le conseguenze che tutti possono vedere, compresa la nuova presenza turca e russa davanti alle nostre coste.
Italia, dunque, debolissima sullo scenario mondiale, sia in Europa, dove regnava un asse franco-tedesco e del rigore – belle le pagine sull’Olanda –, ma anche con gli Stati Uniti, nonostante il ruolo geografico e la posizione amichevole di Roma – ben diversa da quella di Francia e Germania – sulla guerra in Iraq. Ed ecco le fatiche di Vento e colleghi per far entrare il nostro Paese nei vertici internazionali, dove spesso i nostri alleati, per non parlare dei “cugini”, non ci vorrebbero.
Un libro istruttivo, Il XX secolo non è finito, che oltre ad essere una piacevolissima lettura ci fa entrare nella stanza dei bottoni e fornisce al lettore anche molti utili strumenti per capire la scena internazionale.
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