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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » DAZI USA vs UE/ Fortis: evitiamo il catastrofismo, ecco cosa può aiutare il Made in Italy

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DAZI USA vs UE/ Fortis: evitiamo il catastrofismo, ecco cosa può aiutare il Made in Italy

Int. Marco Fortis
Pubblicato 28 Febbraio 2025
Trump, Studio Ovale

Donald Trump, Presidente USA nello Studio Ovale (ANSA-EPA 2025)

Trump ha annunciato dazi pari al 25% per i prodotti europei, a partire dalle auto. L'Ue promette di reagire con fermezza

Donald Trump, nel corso del primo Consiglio dei ministri della sua nuova Amministrazione, ha annunciato che presto verranno introdotti dazi al 25% sulle auto e su altri prodotti europei, senza fornire tuttavia dettagli specifici in merito. Il presidente americano è tornato a ripetere che l’Europa tratta male gli Usa, aggiungendo questa volta che l’Ue “è stata creata con l’obiettivo di fregare gli Stati Uniti”.


Putin: “Dombass sarà nostro, coi negoziati o con le armi”/ Trump accelera sulla pace: oggi round USA-Ucraina


Bruxelles ha fatto sapere che intende reagire con fermezza a tariffe ingiustificate. Il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha invece parlato di “un’ora buia”, “un cambio di paradigma, inaspettato e incredibile”. Dal suo punto di vista “si rischia la tenuta economica e sociale di molti Stati dell’Unione e dell’Unione stessa”. Anche per capire quelli che potrebbero essere gli impatti dei dazi americani per le imprese italiane abbiamo chiesto un commento a Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano.


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Cosa pensa dell’annuncio arrivato da Trump sull’introduzione di dazi nei confronti dei prodotti europei?

Fintanto che non si conosceranno concretamente i dettagli di queste tariffe doganali, per capire se saranno o meno mirate su alcuni prodotti e se, quindi, impatteranno in modo diverso le economie dei Paesi membri dell’Ue, è difficile esprimersi. Trump aveva già fatto ricorso ai dazi durante il primo mandato, ma in modo differente. Oggi mi sembra che intenda utilizzarli anche come arma negoziale. Per esempio, nel caso dell’Ue ha apertamente parlato della necessità che acquisti più Gnl e petrolio dagli Stati Uniti.


GOVERNO E UCRAINA/ Decreto armi e invito del Papa, quel doppio "messaggio" alla Meloni


Acquisti che dovrebbero servire a compensare uno squilibrio commerciale pesante, stando a quanto Trump ha ripetuto con toni più forti che in passato.

Se guardiamo ai dati relativi al 2023, su 3.173 miliardi di dollari di import americano 163 derivano dalla Germania, 75 dall’Italia e 59 dalla Francia. Si tratta di numeri molto lontani da quelli di Canada (480 miliardi), Cina (448) e Messico (431). Per quanto riguarda il deficit commerciale degli Stati Uniti, esso è prevalentemente sbilanciato verso la Cina (300 miliardi), il Messico (157) e il Vietnam (109). Dopo viene la Germania (86), mentre l’Italia (46) è all’undicesimo posto. Da questi dati appare evidente che non sarà certo diminuendo l’import dall’Ue che si risolverà lo squilibrio commerciale con l’estero degli Stati Uniti.

È anche per questo che Trump ha introdotto per primi i dazi nei riguardi di Cina, Canada e Messico?

Quelli verso Canada e Messico sono stati introdotti e poi sospesi per un mese. Se saranno confermati, come sembra, potremmo assistere alla fine del Nafta (North american free trade agreement). Il problema principale per Trump penso riguardi la Cina, anche perché dovrà prestare attenzione a non alimentare troppo una guerra commerciale che potrebbe comportare un aumento dell’inflazione negli Stati Uniti.

Inflazione che Trump in campagna elettorale diceva di voler far scendere…

Esatto. Tra l’altro molte delle importazioni da Cina, Canada e Messico riguardano prodotti di multinazionali americane che hanno delocalizzato in quei Paesi. Dunque, il Presidente dovrà fare attenzione a non danneggiare le aziende del suo Paese. C’è da dire che comunque qualche effetto i dazi introdotti, come quelli su acciaio e alluminio, e quelli annunciati un impatto lo stando avendo.

Da che punto di vista?

Cresce il numero di multinazionali che annunciano di voler investire negli Stati Uniti e non altrove. Anche se va detto che potrebbe trattarsi di decisioni che in fondo erano già state prese prima dei dazi, ma che vengono comunicate solo adesso anche per dare un messaggio alla Casa Bianca.

Cosa pensa della reazione dell’Ue alle parole di Trump?

Anche in questo caso sono state ripetute delle parole senza specificare in cosa consisterà la risposta agli eventuali dazi americani. A mio avviso, l’Ue teme che una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina possa portare il gigante asiatico a cercare di spostare gran parte della propria sovracapacità produttiva verso il mercato europeo, con le conseguenze che possiamo immaginare per il sistema produttivo dell’Europa.

Il Presidente di Confindustria Orsini ha parlato di “un’ora buia”…

È indubbio che si tratti di un’ora buia dal punto di vista concettuale, dei rapporti tra Paesi, perché si sta mettendo in discussione tutta la fraternità occidentale, quello che è sempre stato il credo americano del libero mercato.

Quali potrebbero essere gli effetti dei dazi americani sull’economia italiana?

Sono stati realizzati degli studi, delle simulazioni, che stimano aggravi per l’export tra i 4 e i 7 miliardi di euro circa. Difficile dire quali settori siano più esposti, dipende se i dazi saranno generalizzati o meno. Secondo gli scenari di Prometeia, sarebbero a rischio il sistema moda, l’agroalimentare e la meccanica. La Svimez stima le ricadute in termini di posti di lavoro in oltre 53mila unità lavorative per anno. Tuttavia, queste analisi rischiano di essere troppo rigide nelle loro ipotesi e conclusioni.

In che senso?

Per fare un esempio, non tengono conto del possibile apprezzamento del dollaro, che potrebbe in parte assorbire l’effetto dei dazi, né del fatto che negli Stati Uniti non ci sono alcune produzioni, per esempio delle valvole di ottone ad alto contenuto tecnologico realizzate in Italia, che non sarebbero sostituibili. E c’è poi un altro aspetto non marginale da considerare.

Quale?

Nel nostro export verso gli Stati Uniti v’è un notevole numero di beni a domanda rigida, che potrebbero risentire meno di rialzi dei prezzi dovuti a eventuali dazi, come nel caso delle Ferrari, dei superyacht, dei gioielli, dell’abbigliamento di alta moda e delle calzature di pregio in pelle, che quindi non risentirebbero di dazi al 25%.

Questo vale anche per i prodotti dell’agroalimentare?

In questo caso bisogna considerare che la comunità italiana presente negli Usa difficilmente rinuncerebbe ad alcuni nostri prodotti tipici, come formaggi, prosciutti e vini pregiati, anche se i prezzi dovessero aumentare per effetto dei dazi. Lo stesso vale per le classi americane più agiate e la ristorazione di alto livello. Perfino alcune acque minerali italiane sono dei prodotti simbolo per queste classi più agiate che non vi rinuncerebbero. Certo non può mancare preoccupazione nei nostri produttori, visto che l’Italia è il primo esportatore mondiale di formaggi verso gli Stati Uniti, grazie soprattutto a Grana Padano, Parmigiano Reggiano e Pecorino.

Questi prodotti risentirebbero dei dazi?

In una recente intervista, il presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Nicola Bertinelli, ha ricordato che chi compra quel prodotto negli Stati Uniti ha un 93% di mercato di alternative che costano la metà. Quindi, l’introduzione di dazi finirebbe solo per aumentare i prezzi per i consumatori, e di conseguenza l’inflazione, senza nemmeno proteggere i produttori locali di formaggio.

Tolti i prodotti che possono contare su una domanda rigida, cosa si può dire sugli altri?

Guardando ai primi 100 prodotti che gli Usa importano dall’Italia possiamo dire che sono molto differenziati, dato che spaziano dalla farmaceutica alla meccanica. Questo potrebbe attutire l’impatto di dazi mirati su specifici prodotti. Inoltre, specie nel caso della farmaceutica o dell’elettronica e Ict, si tratta di prodotti di multinazionali americane che hanno investito nel nostro Paese, ma non per risparmiare sul costo del lavoro, ma per ragioni di efficienza produttiva e innovazione tecnologica. È ragionevole pensare che non ci saranno dazi punitivi verso questo tipo di beni, perché rischierebbero di penalizzare le aziende americane che hanno scelto di produrre da noi per rafforzare la propria leadership internazionale.

Dopo le parole di Trump non dobbiamo, quindi, fasciarci la testa?

Penso più che altro ci siano elementi per una razionale speranza circa la possibilità che il Made in Italy possa in qualche modo non essere così penalizzato dai dazi rispetto a quanto si legge in alcune analisi catastrofiste comparse sui media italiani in questi giorni.

(Lorenzo Torrisi)

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Tags: Donald TrumpConfindustriaInflazioneEconomia USA

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