Le banche vivono per le imprese. E le imprese non possono vivere senza le banche. Naturale, quindi, che banche e imprese si annusino, litighino, si accordino, si sostengano a vicenda, facciano programmi comuni. Di questa pasta è fatto il recente accordo tra la principale organizzazione imprenditoriale e la più grande banca del Paese, Confindustria e Intesa Sanpaolo.
Sul piatto 200 miliardi da qui al 2028 che si aggiungono ai 450 già erogati negli ultimi quindici anni per fornire al motore dell’economia il carburante della crescita. Perché è questa che occorre perseguire a tutti i costi se davvero si vuole che l’Italia torni a correre liberandosi dal fardello del debito pubblico e trovando le risorse per l’aumento dei salari.
Ne sono convinti entrambi gli officianti del patto – il Presidente Emanuele Orsini per Confindustria e il Consigliere delegato Carlo Messina per Intesa – che sembrano parlare la stessa lingua quando chiedono ai Governi, quello nazionale e quello europeo, di creare le condizioni perché gli attori dello sviluppo possano esprime al massimo le proprie potenzialità.
Orsini è alle prese con un calo della produzione industriale che dura da ventidue mesi e Messina deve fronteggiare la concorrenza di competitori internazionali che attirano il risparmio italiano sottraendolo all’impiego in patria. Dunque, tra i nodi da sciogliere c’è certamente quello che suggerisce di invertire la rotta e mantenere qui il risparmio che qui si crea.
Ci vuole lo sguardo lungo, fanno intendere entrambi, perché la crescita si basa su un quadro di certezze e dunque su prospettive di medio-lungo termine che superino l’inadeguatezza del breve su cui è difficile programmare. Vale per l’Italia e vale per l’Europa, che deve recuperare il coraggio delle decisioni uscendo dalla trappola dell’arbitro: troppe regole che rischiano di soffocarla.
È il caso del settore dell’auto, rimarca Orsini, che si presenta ormai in caduta libera trascinando in basso l’intero assetto industriale del Paese ed è il caso, ancora, dell’energia che da noi costa molto più che altrove minando la capacità competitiva delle imprese. Problemi, questi, che dovrebbero trovare soluzione a livello europeo dove il senso di una vera Unione ancora latita.
In attesa che il contesto generale si chiarisca e la politica faccia le sue scelte, è fondamentale che i protagonisti della scena economica – le banche e le imprese – decidano di dare il buon esempio creando i presupposti per accelerare su alcune direttrici chiave come quella di Transizione 5.0 che si presenta ancora troppo accidentata per essere percorsa al meglio delle possibilità.
Orsini e Messina, a nome di chi lavora e produce, indicano la strada per consentire all’Italia – seconda manifattura d’Europa, quarta potenza esportatrice del mondo – di mantenere le sue posizioni internazionali e migliorarle perché non c’è nulla di più sexy e desiderato del Made in Italy e sarebbe un peccato non utilizzare la ricchezza di cui ancora disponiamo per il benessere del Paese.
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