Tre bambini di 5 anni finiscono in ospedale dopo aver mangiato panini al cioccolato con graffette metalliche, tragedia sfiorata
A Spinea, comune in provincia di Venezia, è accaduto un fatto decisamente inaspettato: tre bambini di 5 anni sono finiti al pronto soccorso dopo aver mangiato panini al cioccolato con, al loro interno, graffette metalliche: un episodio drammatico, che sarebbe potuto sfociare in una vera e propria tragedia.
La vicenda, riportata da Il Gazzettino, ci fornisce una cruda fotografia di quanto possano essere fragili e valicabili le maglie del sistema alimentare, tanto pubblicizzato come sicuro, monitorato, garantito; un episodio del genere sarebbe potuto accadere a chiunque e sorprende proprio per la naturalezza con cui ha avuto luogo.
Una madre che, con la premura che ogni madre ha per garantire il benessere e la felicità dei propri figli, compra dei dolci in un supermercato del luogo per la merenda del suo piccolo e degli altri amici, dopo aver trascorso un pomeriggio di gioco spensierato all’oratorio. Ma proprio quella spensieratezza è durata poco.
La sera stessa, volendo assaggiare quel che era avanzato, lei stessa ha avvertito sotto i denti qualcosa di duro, estraneo, sinistro e che mai si sarebbe potuta immaginare: una graffetta da cucitrice. Da lì è scattato l’allarme, la corsa disperata nel contattare gli altri genitori, il parere del pediatra e, infine, le radiografie, fin quando non è poi giunta la certezza: una graffetta, vera, fredda, trovata nelle feci di uno dei bambini.
“Potevano esserci problemi all’intestino”, ha detto, con voce rotta, una delle mamme. E in quella frase c’è tutto il terrore, l’impotenza, la rabbia per una tragedia scampata.
Panino al metallo e graffette tra le briciole
Questa vicenda non è un caso isolato, singolare per quanto drammatico, da archiviare in fretta e furia con una segnalazione ai NAS e qualche scusa formale, ma è il segno tangibile di una problematica più radicata e su cui sarebbe bene iniziare a riflettere: quella di una filiera alimentare sempre più automatizzata, impersonale, incentrata sul profitto a discapito della cura, dell’attenzione, della responsabilità.
Il panino “incriminato” proveniva da un laboratorio fornitore del supermercato, una delle tante realtà che quotidianamente riforniscono gli scaffali con prodotti imballati in serie, spesso sottopagati, sempre pressati da ritmi di produzione disumani e spersonalizzanti. E in questo processo meccanico, alienante, non c’è spazio per la lentezza, la meticolosità, per il controllo minuzioso, per lo sguardo umano che sa individuare un errore prima che si trasformi in un pericolo per i consumatori.
Le graffette, di certo, non sono finite lì per magia: sono l’esito di una disattenzione pericolosa, forse di un’inefficienza nei controlli, forse di un sistema di produzione che sacrifica tutto a discapito della velocità, ma se una madre come tante non avesse avuto l’intuizione – o forse si è trattato di un semplice caso fortuito – di assaggiare gli avanzi di quel panino al cioccolato, forse oggi staremmo parlando di una vera e propria disgrazia.
Paradossalmente, viviamo in un mondo in cui ci scandalizziamo per i coloranti nei biscotti, ma si sorvola sulle basi minime essenziali che sorreggono intere filiere alimentari e, fin quando considereremo normale comprare un panino confezionato senza sapere da chi, dove e in quali condizioni è stato preparato, continueremo a mettere a rischio ciò che abbiamo di più prezioso: la nostra salute.
