Alessia Pifferi, il caso della donna che lasciò morire di stenti la figlia Diana a Milano a Le Iene Inside: cos'è successo, la ricostruzione e il processo
IL CASO ALESSIA PIFFERI OGGI A LE IENE INSIDE
Tra le “madri perdute” della cronaca nera italiana c’è anche Alessia Pifferi, la donna che ha lasciato morire di stenti la figlia Diana dopo averla lasciata sola in casa. Una vicenda sconvolgente ricostruita oggi da Le Iene Inside. Era un pomeriggio afoso del 20 luglio 2022 quando Pifferi, davanti al pm Francesco De Tommasi negli uffici della squadra mobile di Milano, ha cominciato a parlare. Il suo tono era spigliato e tranquillo, ma due ore prima aveva ritrovato il corpo della figlia di appena 18 mesi senza vita, nella sua abitazione.
Lo stesso piglio con cui due anni dopo, nel giorno della sentenza di primo grado, ha ribadito davanti a tutta l’Italia di non aver mai pensato né premeditato la morte della figlia. Né la sua versione dei fatti né la ricostruzione di donna problematica affetta da un forte deficit cognitivo, che da bambina era stata monitorata da un reparto di neuropsichiatria infantile, avanzata dalla sua difesa, le ha evitato la condanna all’ergastolo per omicidio volontario.
D’altra parte, non le fu effettivamente riconosciuta la premeditazione, bensì altre aggravanti, i futili motivi e la parentela con la vittima. La pena, che ha iniziato a scontare in carcere, non è ancora definitiva, perché ora il caso è arrivato in appello, dove i legali di Alessia Pifferi battagliano sulla sua capacità di intendere e volere.
ALESSIA PIFFERI, PERCHÉ NON È STATA RICONOSCIUTA LA PREMEDITAZIONE
Tra i motivi per i quali la vicenda ha suscitato interesse a livello mediatico non c’è solo l’età della vittima, il legame di parentela con chi ha causato la sua morte, ma anche il dibattito attorno alla differenza tra il reato di abbandono di minore seguito da morte e quello di omicidio. Le motivazioni della sentenza di condanna hanno chiarito questo aspetto: nel primo caso c’è una consapevolezza del pericolo per la vittima, nel secondo bisogna agire volontariamente per causare la morte o accettarne il rischio.
Anche se Alessia Pifferi non ha mai confessato in maniera esplicita l’omicidio, i giudici hanno stabilito che la donna, pur non avendo voluto causare direttamente la morte della piccola Diana, ha comunque previsto questo esito con le sue azioni, ma se si riconosce il dolo eventuale, non si può applicare anche la premeditazione, che richiede una volontà intensa, incompatibile con la fattispecie. Infatti, la perizia psichiatrica disposta dal tribunale ha accertato la capacità di intendere e volere dell’imputata, escludendo il vizio di mente.
LA MORTE DELLA PICCOLA DIANA: I FATTI
La piccola Diana è morta di stenti dopo sei giorni di agonia: viveva con la madre a Milano, non lontano dall’aeroporto di Linate. Alessia Pifferi ha raccontato di aver dato alla luce la figlia il 29 gennaio 2021, senza sapere che era incinta e chi potesse essere il padre. Il 14 luglio dell’anno dopo decise di trascorrere alcuni giorni fuori città, nella Bergamasca, con il suo compagno, ma senza la figlia. A lui raccontò che aveva lasciato la bambina dalla sorella, ai magistrati spiegò che voleva trascorrere via solo un giorno. Ma nel primo interrogatorio ammise che non era la prima volta che lasciava sola la figlia.
Di fatto, rientrò a casa sei giorni dopo la sua partenza, rendendosi conto che la figlia non si muoveva. Avrebbe provato a rianimarla per farla riprendere, chiese aiuto a una vicina, a cui aveva riferito precedentemente di aver lasciato la figlia con una babysitter, poi contattò il 118, ma per la piccola Diana non c’era più nulla da fare. L’autopsia confermò che Diana era morta disidratata. Inizialmente si ipotizzò che Alessia Pifferi potesse averle somministrato delle benzodiazepine, visto che venne trovata in casa la boccetta di un farmaco, ma gli esami successivi esclusero questa ipotesi, era ravvisabile solo una potenziale contaminazione con i farmaci usati dalla mamma.
