La Chiesa deve completare le riforme di Francesco. E la composizione del conclave rivela un problema per la zona ex URSS: pochi cardinali provengono da lì
La morte di papa Francesco ha suscitato una grande emozione in tutto il mondo e non solo fra i cattolici. Da qualche tempo sono cominciate però le valutazioni e anche i pronostici sul futuro della Chiesa.
Tutti, o quasi, riconoscono a papa Francesco di essere stato una personalità eccezionale. Non tanti, anche tra i cattolici, sottolineano che dietro la sua personalità straordinaria, come dietro a quella di certi suoi predecessori, si è reso evidente un fattore misterioso, detto Spirito Santo. Riconoscere che c’è ed opera mi sembra che sia proprio il nostro primo compito di cristiani.
Si parla di papa Francesco come un papa rivoluzionario, non un riformatore. Personalmente una volta tanto chiedo aiuto alla lingua tedesca per chiarirmi un po’ le idee. Quando nei nostri libri di storia si affronta la riforma protestante, quasi sempre lo si fa in due capitoli distinti: quello della riforma protestante e quello della controriforma cattolica. In Germania, da dove venne Lutero, normalmente si parla di Reform, intendendo quella protestante, Katholische Reformation, cioè la riforma cattolica e Gegenreform, intendendo la lotta tra la Chiesa cattolica e quelle protestanti.
Papa Francesco è stato certamente un rivoluzionario nel mettere in discussione alcune presunte certezze che in verità alla luce del Vangelo erano discutibili, per poi preparare la strada a una vera riforma che rimetta ordine e chiarezza nella Chiesa in questo momento drammatico.
Per spiegarmi vorrei partire da un punto che paradossalmente potrebbe sembrare in contraddizione con alcuni altri successivi. Papa Francesco, anche grazie alla sua testimonianza degli ultimi giorni, ci ha fatto vedere come la piena dedicazione a Dio, cuore del valore cristiano della verginità, sia un valore assoluto. Essa non consiste nel disprezzo della sessualità, ma in un amore a Cristo così totale da non aver bisogno di possedere una persona per amarla fino in fondo, per amare il suo destino.
Purtroppo il calo delle vocazioni religiose non è solo il frutto di una proposta di fede inadeguata, ma anche di una mancanza di apprezzamento della vocazione alla verginità, come premessa dell’impegnarsi anche per il bene degli altri. Così, ad esempio, il celibato dei preti ha potuto essere visto da alcuni non come una particolare grazia vocazionale, ma come il tributo per accedere a un ministero di cui si valorizza soprattutto l’aspetto di autorità.
Un altro esempio è quello della questione femminile, anche nella Chiesa, più volte ripresa da papa Francesco. Molti, anzi soprattutto molte, anche nella Chiesa, anche certe suore, si sono affannate a rincorrere modelli di tipo femminista che poco c’entrano con la realtà della Chiesa. Ecco un esempio di qualcosa di rivoluzionario che potrebbe diventare materiale per una vera riforma. È noto che non sempre nella storia i cardinali erano preti o vescovi. San Carlo Borromeo divenne cardinale da adolescente, e i suoi genitori, nel frattempo, gli stavano preparando un matrimonio conveniente. A Roma, probabilmente come accadde ad altri per influsso di san Filippo Neri, il giovane Carlo trovò la sua vocazione. Attualmente per diventare cardinali non è necessario essere vescovi, basta essere sacerdoti. In una eventuale riforma della nomina a cardinale, se bastasse essere battezzati ciò aprirebbe la possibilità di diventare elettori del papa anche alle donne.
Urge poi anche una riforma del codice di diritto canonico che affronti chiaramente la situazione di tante coppie “irregolari” di diverso tipo, dopo che l’Amoris Laetitia ha aperto un’infinità di interpretazioni diverse che alimentano la convinzione che ognuno possa scegliersi la soluzione del problema che vuole.
Questi sono solo alcuni esempi, molto sommariamente accennati, di cosa significhi passare dalla rivoluzione alla riforma.
Un’ultima osservazione sul prossimo conclave e sul toto-papa che si è già aperto. Scorrendo l’elenco dei cardinali, specialmente quello degli aventi diritto al voto, non si può non notare l’assenza di cardinali provenienti dall’ex Unione Sovietica. Ci sono cardinali dai luoghi più sconosciuti della terra, ma nemmeno uno dalla Russia, dall’Ucraina e dall’Asia centrale. C’è solo un lituano che comunque da tempo lavora in Vaticano. Ben pochi cardinali anche dagli altri Paesi del Patto di Varsavia e per lo più già nominati da San Giovanni Paolo II. Il vento dell’Est, del secondo polmone dell’Europa, sembra non spirare più. La mitica conversione della Russia per cui si è tanto atteso non sembra esserci stata. Forse perché da quelle parti si sono concentrate alcune posizioni di antagonismo a papa Francesco, ma forse già prima a papa Ratzinger.
In questo caso più che una riforma urge una nuova missione per rievangelizzare un mondo che si credeva molto più aperto alla fede e che invece in tanti casi non ha saputo ritrovarla dentro nobili tradizioni custodite anche eroicamente nell’epoca sovietica.
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