Papa Francesco è tornato su spesso sul tema dell’educazione durante il suo pontificato, mettendovi al centro la sete di felicità e verità del cuore
La commozione per la morte di Francesco si impasta con la gratitudine per la sua testimonianza e il suo insegnamento. In questo senso, soprattutto negli ultimi anni, mi è stato di particolare aiuto nel lavoro di insegnante quanto il Papa ha detto e scritto sulla condizione e l’educazione dei giovani.
È un sostegno fatto di parole, di immagini semplici ma incisive, e soprattutto di gesti di ascolto e paterna testimonianza. Altri, molto più bravi di me, porranno sicuramente mano a riprendere in modo sistematico il ricco magistero di Bergoglio in tema di giovani, educazione e scuola; io accenno brevemente ad un aspetto costante del suo pensiero che mi ha particolarmente colpito e sostenuto in questi ultimi anni.
Parlo della sua fiducia totale nel cuore dei giovani, cioè nella forza di quelle esigenze fondamentali di verità, bellezza e giustizia che nell’età giovanile si agitano in modo più potente anche quando si esprimono in forme spesso contradditorie, in modi che disorientano e spesso irrigidiscono noi adulti.
Questa sua caratteristica lo accomuna ad altri giganti dell’educazione cristiana – pensiamo solo a don Bosco o a don Giussani, del quale Bergoglio disse che “aveva una capacità unica di far scattare la ricerca sincera del senso della vita nel cuore dei giovani, di risvegliare il loro desiderio di verità” (Discorso ai membri di CL, 2022).
In un incontro con i giovani, sempre nel 2022, Francesco definì questa tensione giovanile con un’immagine che mi piace molto, quella del “fiuto”: “cari ragazzi e ragazze, voi avete una cosa che noi grandi alle volte abbiamo perduto. Tante volte, l’abitudine della vita ci fa perdere ‘il fiuto’; … Voi avete il fiuto: non perdetelo! Il fiuto di dire ‘questo è vero – questo non è vero – questo non va bene’; il fiuto di trovare il Signore, il fiuto della verità”.
Sono convinto che questo consegnarsi senza finzioni al libero discernimento dei giovani derivasse a Francesco non da un superficiale buonismo, ma dalla fede e dalla sua immedesimazione in quello sguardo misericordioso di Cristo che non si ferma alle apparenze dei limiti e del peccato perché conosce il cuore di ognuno.
Questa certezza nella possibilità dell’uomo, e in particolare dei giovani, di riconoscere la verità, e quindi Dio, è virtù essenziale dell’educatore e il richiamo costante del Papa su questo mi ha confortato nella quotidianità di un lavoro che si è andato facendo sempre più pesante di fronte a tanti comportamenti e problematiche che lascerebbero istintivamente pensare tutt’altro sui giovani.
La tentazione sempre presente in me è infatti quella che denuncia il Papa nell’esortazione apostolica Christus vivit: “…noi adulti corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo. Alcuni forse ci applaudiranno perché sembriamo esperti nell’individuare aspetti negativi e pericoli. Ma quale sarebbe il risultato di questo atteggiamento? Una distanza sempre maggiore, meno vicinanza, meno aiuto reciproco” (CV 66).
Ma non si deve cadere neanche nell’atteggiamento opposto, ugualmente deleterio, di lasciar correre tutto, di non evidenziare e combattere le minacce al cuore dei giovani e i loro atteggiamenti passivi. Francesco ha più volte vibratamente sollecitato i tanti giovani incontrati a non barattare la propria sete di felicità con un facile ma mortificante borghesismo.
Famosi, a questo proposito, i suoi frequenti appelli a non rimanere al balcone o sul divano rispetto all’impegno con la vita e, per i giovani cristiani, con la realtà ecclesiale, a non andare in pensione prima del tempo: “giovani, non rinunciate al meglio della vostra giovinezza, non osservate la vita dal balcone. Non confondete la felicità con un divano e non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo. Non riducetevi nemmeno al triste spettacolo di un veicolo abbandonato.
Non siate auto parcheggiate, lasciate piuttosto sbocciare i sogni e prendete decisioni. Rischiate, anche se sbaglierete. Non sopravvivete con l’anima anestetizzata e non guardate il mondo come se foste turisti. Fatevi sentire!” (CV 143).
Quindi Francesco non ha mai nascosto ai giovani la minaccia potente della mentalità dominante, quella che evangelicamente chiamava spirito mondano e che tende sempre di più a segregare le nuove generazioni nella comfort zone consumistica o in altre forme di schiavitù sociale, economica e ideologica (materialismo ateista e tecnocratico). Lo scopo è quello di controllare e disinnescare la vitale esigenza di rinnovamento e felicità propria dei giovani.
Per Francesco, la minaccia più grande che i giovani avvertono su di sé è l’indifferenza degli adulti. È questo che veramente soffoca le nuove generazioni e le spinge al male: “molti giovani sentono che hanno smesso di esistere per gli altri, per la famiglia, per la società, per la comunità…, e allora, molte volte si sentono invisibili.
È la cultura dell’abbandono e della mancanza di considerazione…Così li stiamo spingendo a non guardare al futuro, e a cadere in preda di qualsiasi droga, di qualsiasi cosa che li distrugge” (XXXIV Giornata mondiale della gioventù).
Per Francesco c’è un modo degli adulti di interessarsi ai giovani che è falso, li si avvicina per blandirli, plagiarli, adulandoli per utilizzarli a vari scopi (cfr. CV 79) e farne motivo di affermazione personale o per riempire un vuoto esistenziale: quante volte lo vediamo in famiglia, a scuola, nello sport e perfino in ambienti ecclesiali!
È esattamente il contrario dell’educazione, perché non propone niente ai giovani, non li valorizza e non li accompagna a nessun impegno serio, faticoso e rigoroso con la realtà e il suo senso ultimo, mantenendoli in un volubile ricatto affettivo e, per questo, facilmente strumentalizzabili.
In questo senso il Papa riprende un passaggio del Documento finale del Sinodo dei vescovi sui giovani del 2018: “talora gli adulti non cercano o non riescono a trasmettere i valori fondanti dell’esistenza oppure assumono stili giovanilistici, rovesciando il rapporto tra le generazioni. In questo modo la relazione tra giovani e adulti rischia di rimanere sul piano affettivo, senza toccare la dimensione educativa e culturale” (CV 80).
Francesco rifugge però da analisi troppo generiche sui giovani, utili solo per uno sguardo iniziale, da superare per non cadere in facili schematismi: “la gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, ‘la gioventù’ non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete” (CV 71).
Egli chiama gli adulti ad un rapporto personale e vero con ogni singolo giovane, che inizi dal rispetto del suo cuore: “il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato ‘terra sacra’, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo ‘toglierci i sandali’ per poterci avvicinare e approfondire il Mistero” (CV 67).
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