Con i dazi Trump cerca di raggiungere diversi obiettivi, ma offre anche un'opportunità alla Cina e all'Europa
È tutto pronto a Ginevra per l’incontro tra le delegazioni di Stati Uniti e Cina per cercare di allentare le tensioni commerciali tra i due giganti economici globali. Intanto, il fatto che sia stato raggiunto un accordo sui dazi con il Regno Unito fa sperare anche in un epilogo simile per la trattativa in corso tra Washington e Bruxelles. La Commissione europea sta però già preparando un pacchetto di contro-dazi da 100 miliardi di euro nel caso non venisse trovata un’intesa con gli Usa. Secondo Nicola Rossi, già Professore ordinario di Economia all’Università di Roma Tor Vergata, «Trump sta cercando di raggiungere più obiettivi con un unico strumento, cosa che visibilmente è impossibile».
Quali sono questi obiettivi che il Presidente americano si propone di raggiungere tramite i dazi?
Sta cercando di mettere in sicurezza il bilancio pubblico del suo Paese, di raccogliere risorse che gli permettano di tagliare le imposte, di favorire il rientro in patria di alcune produzioni, di impostare su binari diversi il rapporto con la Cina: troppi obiettivi per un solo strumento. La serie di annunci, decisioni e parziali retromarce delle ultime settimane, oltre a provocare incertezza e turbolenze sui mercati, credo che rappresentino un chiaro segnale del fatto che la coperta con cui la Casa Bianca sta cercando di coprire tutti i problemi americani è troppo corta.
C’è almeno un obiettivo per il quale lo strumento dei dazi sarebbe appropriato?
Il problema non è tanto di adeguatezza, ma di costi. I dazi sono uno strumento che implica costi elevati sia per l’economia americana che degli altri Paesi. Storicamente si è visto che il bilancio finale delle guerre commerciali è molto negativo per tutti.
Trump ritiene che le difficoltà per l’economia americana saranno transitorie…
La mia sensazione è che non lo saranno: i danni causati non possono essere riassorbiti molto in fretta.
Anche se riuscisse l’operazione di riportare alcune produzioni in territorio americano, con la conseguente creazione di posti di lavoro?
A mio modo di vedere il problema è per certi versi anche piuttosto semplice e credo che l’Amministrazione americana ne sia consapevole: gli Stati Uniti hanno problemi serissimi di bilancio pubblico, di capacità competitiva su alcuni versanti e nella definizione della loro missione geopolitica. Queste sono tre criticità che un’altra Amministrazione probabilmente affronterebbe segnalando agli americani che il loro modo di essere non è più sostenibile. A mio modo di vedere, il metodo scelto dall’attuale Amministrazione potrebbe finire per approfondire tali criticità anziché rendere possibile un loro superamento.
La Cina potrebbe approfittare di questa situazione per rafforzarsi a livello globale?
La Cina negli ultimi tempi si è già rafforzata significativamente, anche giocando nelle pieghe delle regole internazionali che non sempre ha rispettato, e ora potrebbe approfittare di questa situazione, che vede il suo principale competitor globale alle prese con significativi squilibri macroeconomici non più sostenibili. Ma questo contesto rappresenta un’occasione non solo per Pechino. Un’America che decidesse di rinunciare al ruolo geopolitico che ha svolto negli ultimi 70 anni, infatti, offrirebbe un’opportunità straordinaria anche all’Europa, nel caso riuscisse a raggiungere quel minimo di coesione necessario a coglierla.
Quale sarebbe questa opportunità?
Per fare solo un esempio, quella di far uscire l’euro dalla dimensione, importante ma regionale, che finora ha mantenuto, per farlo diventare una delle valute di riserva a livello internazionale. Questo comporterebbe un’assunzione di responsabilità per l’Europa molto significativa, ma consentirebbe anche di godere dei corrispondenti privilegi.
Vorrebbe anche dire che il dollaro dovrebbe farsi un po’ da parte…
Guardi che lo sta già facendo. Il suo andamento sui mercati valutari di questi ultimi tempi ce lo sta dicendo chiaramente.
Come ha detto poc’anzi, tuttavia, per cogliere questa opportunità dovrebbe anche esserci un passaggio politico importante a livello europeo.
Sì, un passaggio con una fortissima valenza politica, che comporta ovviamente una maggiore integrazione delle politiche economiche. A mio modo di vedere l’opportunità è talmente evidente e rilevante che non è necessariamente detto che queste siano operazioni che si devono fare a 27 o a 19 Paesi.
Si avrebbe, quindi, un’Europa a più velocità?
Non ho grandi timori sul fatto che si possa andare a due, a tre o quattro velocità, perché la mia sensazione è che se un gruppo credibile di Paesi si avvia in una determinata direzione, poi la forza aggregante rilevante di questa decisione fa il resto. Per esempio, l’unione monetaria europea ha aggregato intorno a sé più Paesi rispetto a quelli che hanno dato vita all’euro.
Tutto questo non ci porterebbe in una situazione più conflittuale con gli Stati Uniti?
Probabilmente sì, perché non sarebbe un esito che gli Usa desiderano. Tuttavia, sarebbe la conseguenza delle loro scelte. Ritengo in ogni caso che sarebbe per certi versi nell’interesse degli Stati Uniti che un loro ruolo meno significativo a livello internazionale venisse colmato da quelli che a tutt’oggi rappresentano i loro alleati. Credo che dal punto di vista di Washington sarebbe certamente più problematico se quello spazio fosse occupato da altri.
Come la Cina o i Brics?
Esattamente.
Che atteggiamento dovrebbe tenere nel frattempo l’Ue nel negoziato con gli Usa sui dazi?
Finora è stata seguita una linea prudente e ritengo che sia opportuno portarla avanti, anche perché siamo di fronte a indirizzi di politica tutt’altro che fermi, cambiano spesso e volentieri. Un quadro in cui non si può avere certezza sulla posizione della controparte suggerisce prudenza.
(Lorenzo Torrisi)
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