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Home » Cronaca » Cronaca Nera » MARTINA CARBONARO/ Uccisa a 14 anni dall’ex: quando la morte non insegna niente alla vita

  • Cronaca Nera

MARTINA CARBONARO/ Uccisa a 14 anni dall’ex: quando la morte non insegna niente alla vita

Riccardo Prando
Pubblicato 30 Maggio 2025 - Aggiornato alle ore 06:20
Martina Carbonaro

La fiaccolata in memoria di Martina Carbonaro, la giovane ragazza uccisa ad Afragola, 28 maggio 2025. ANSA/CESARE ABBATE

La madre di Martina Carbonaro, uccisa a 14 anni, chiede l’ergastolo per il suo omicida. Ma per cambiare c’è bisogno di famiglie più attente ai loro ragazzi

“Voglio l’ergastolo per questo ragazzo! Che peccato ha fatto mia figlia?”. Il dolore che supera ogni altro, perché un genitore non dovrebbe sopravvivere a chi ha generato (lo abbiamo letto e scritto altre volte: il vocabolario contiene il termine “orfano”, ma tace su una madre o un padre cui muore chi ha messo al mondo). E lo strazio può far delirare, spingere a non guardare in faccia la realtà, che -sembra impossibile – è persino peggiore di quella contenuta in una bara.


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Al netto di tutto questo, le parole di condanna pronunciate a caldo dalla mamma di Martina Carbonaro, la 14enne di Afragola uccisa a colpi di pietra dall’ex-fidanzato 19enne Alessio Tucci, dovrebbero spingerci una benedetta volta ad uscire dalla spessa patina di ipocrisia che in questi casi avvolge tutto e tutti.

In primo luogo quel tipo di giornalismo che si ferma alla notizia nuda e cruda, quasi si compiaccia di scovare particolari orrendi da gettare in pasto ai propri microfoni per evitare accuratamente di scavare in profondità. Il giornalismo dell’usa-e-getta, “tanto ogni giorno ne succede una” e ciò che fa vendere o fa audience è “il nero”, non “il bianco”, non c’è tempo per fermarsi a riflettere. Proviamo a scalfire questo modo di fare notizia e, in tutta onestà, non mi pare occorra molto.


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Martina (ma di quanti casi analoghi ha dovuto occuparsi la cronaca sin qui?) aveva 14 anni. La scuola media conclusa da poco, l’iscrizione ad un corso professionale, qualche bambola che ancora occhieggiava dall’armadio in camera sua, ricordo di giochi appena trascorsi, il desiderio di sentirsi adulti subito (lo dimostrano le foto subito circolate sui social).

“Che peccato ha fatto?” è domanda senza senso. Nessuno: a quell’età non si può essere consapevoli del tutto di ciò che si è e si fa. 14 anni e non sentirli, nel senso di non “capirli”. Per questo esistono i genitori o comunque gli adulti: per aiutare i figli a capire chi si è, il cui presupposto è distinguere il bene dal male. E qui un adolescente può benissimo iniziare a farla, questa distinzione, a meno di non avere mai l’età giusta per essere ritenuti responsabili di qualcosa.


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“Che male c’è – deve aver pensato la mamma di Martina – nel trucco pesante di mia figlia, nel lasciarla uscire di casa a qualsiasi ora (e soprattutto a vederla rientrare), nell’accompagnarsi ad un fidanzato “ufficiale” che i vicini di casa (non lei: sono le sue parole) consideravano “un bravo ragazzo”, a fidarsi delle sue parole, delle sue rassicurazioni, del suo modo di vivere?

Su Orizzontescuola, il noto psichiatra Paolo Crepet prende di mira i genitori partendo proprio dall’omicidio di Afragola: “Decine di migliaia di ragazzine a 13 anni escono non alle nove, a mezzanotte. Non ho mai conosciuto un padre che si mette davanti alla porta. Anzi, non solo la aprono e gli dicono ‘divertiti’, ma gli danno pure 100 euro. Siamo in un baratro di puro egoismo”. Non è vero che non ci sono padri e madri che dicono di no, ma sono sempre più minoranza. Perché tenere la barra dritta implica coscienza, impegno, costanza, fatica. In famiglia e a scuola, dove la promozione è un diritto, non un dovere.

Educare è il mestiere più bello, ma anche più faticoso del mondo. Specialmente in questo mondo dove, se tutto è uguale a tutto, anche una ragazzina che ha appena smesso di essere bambina può gettarsi nelle braccia di un altro, che poi è appena più grande di lei e presenta gli stessi suoi limiti: “L’ho fatto perché mi aveva lasciato”, ha detto ai Carabinieri dopo aver cercato di imbrogliare le indagini.

A 14 anni, Martina aveva forse dimostrato più senno del suo fidanzatino. E allora la madre? Dov’è stata sino ad allora, dove ha guardato, dove anzi ha preferito non guardare per non mettere in gioco sé stessa, le sue mancanze, i suoi limiti educativi? Soprattutto, con quale coraggio può allora chiedere l’ergastolo per Alessio? Di tutto questo le cronache giornalistiche non si occupano. Un altro omicidio (o femminicidio, termine che ci piace poco) è dietro l’angolo della nostra società malata di egoismo o, come diceva Augusto Del Noce, di “nichilismo gaio”. Intanto le solite femministe dell’Università La Sapienza hanno organizzato una “passeggiata rumorosa” (sic!) al grido di “Per Martina, per tutte, bruceremo tutto”. Ahimè, quando la morte non insegna niente alla vita.

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