L’altro è un mistero: si può dominare o ascoltare. Dalle Americhe al Giappone, la vera conquista è la comprensione. La scuola non può sottrarsi
L’altro è un mistero grande: sfugge al possesso dell’io. Si può cercare di conquistarlo, sottometterlo o assimilarlo, ma il suo abisso imprendibile ritorna nelle coscienze di chi vuole schiacciarlo. Todorov, ne La conquista dell’America. Il problema dell’altro (Einaudi, 1984), mette in luce la verità dell’altro come giudizio su di sé. Di fronte ai nativi, infatti, ci fu chi usò la violenza omicida per ottenere nuovi territori. Ma ci furono altri (pochi) che cercarono di capire il diverso. Diego Dúran e Bernardino de Sahagún, due religiosi, impararono la lingua nahuatl e cercarono di riportare il punto di vista degli indigeni. Non la ricerca di un dominio, ma un ascolto volto alla conoscenza profonda.
Nel rapporto con l’altro, dunque, si può cercare sia una vicinanza attenta, sia una immedesimazione: difficile, ma importante. Si tratta di entrare nella sua lingua, facendosi attraversare e ospitare dai significati che la animano. Il libro di Laura Imai Messina, Wa. La via giapponese all’armonia (Vallardi, 2018), aiuta ad accogliere un mondo interiore speciale, quello del Giappone.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’antropologa Ruth Benedict, con il suo celebre Il crisantemo e la spada (Laterza, 2015), aveva studiato le strutture di una cultura che sfuggiva alla presa del pensiero occidentale. Perché i kamikaze? Perché uno spirito così diverso? Perché una cultura della vergogna? Ivan Morris, ne La nobiltà della sconfitta (Medhelan, 2024), a sua volta, aveva fatto emergere il tema della dignità estrema di fronte alla perdita. Una mentalità non comprensibile, in grado di arrivare al tradizionalismo restauratore di Yukio Mishima con i suoi esiti nichilistici.
Il tempo e l’incontro con l’altro – nello specifico con il pensiero occidentale – tuttavia, hanno modificato, come sempre accade, alcune strutture culturali giapponesi: resta, tuttavia, un proprio, uno specifico modo di essere.
Laura Imai Messina ci aiuta a conoscere il mondo giapponese con uno sguardo dall’altro. Il suo lavoro attento percorre dal di dentro un certo modo di essere al mondo e di rapportarsi alla vita. Proprio a partire da tale ottica, è stata interessante una proposta didattica per gli studenti dei licei delle scienze umane.
Nel Liceo Economico Sociale di Verbania, in particolare, ogni ragazzo/a di terza ha studiato una voce del libro Wa. Bisognava immergersi nel mondo dell’altro per scoprire qualcosa di buono e vero per sé.
È stato uno spettacolo vedere degli studenti raccontare ai loro coetanei un termine complesso, servendosi di PowerPoint e di mappe. Maria Vittoria ha parlato di Soto e Uchi (fuori e dentro). Si tratta di due termini che pongono la questione della collocazione del soggetto, del suo stare nel mondo. Si è dentro una famiglia, un circolo o un’azienda: ma con quale intensità, con quale vicinanza?
Martina ha poi spiegato ai suoi compagni cosa vuol dire chotto: una sospensione nella conversazione. L’interruzione, la pausa non sono un’assenza, ma un tempo dato alla gentilezza, alla non invadenza. Il rispetto è importante nella cultura nipponica. Non bisogna superare, per delicatezza, le barriere che proteggono l’altro.
Giulia, poi, ha approfondito il termine kami. Si tratta di un concetto a-razionale e pervasivo della realtà. Tutto ciò che vive ed esiste ha a che fare con il vasto pantheon di otto milioni di dèi. E l’armonia indefinibile è ciò da cui si dispiega tutto.
Un mondo diverso, ma interessante, dunque: suscita curiosità e desiderio di scoperta. È proprio vero: l’ascolto imparativo (Panikkar) ha un grande significato per l’antropologia culturale.
E, oggi, ascoltare l’altro e cercare di capire il suo punto di vista è più che mai decisivo.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
