Ieri è stata firmata l'intesa sulla decarbonizzazione degli impianti dell'ex Ilva di Taranto, una bozza di accordo molto importante
Ieri è stata firmata al ministero delle imprese e del Made in Italy da tutte le amministrazioni nazionali e locali l’intesa sulla decarbonizzazione degli impianti dell’ex Ilva di Taranto. La bozza di accordo, si apprende da fonti del Ministero, non indica i tempi per il passaggio della produzione con forni elettrici, né la decisione su dove localizzare il polo Dri per produrre il preridotto necessario ad alimentarli. Le parti si sono impegnate a convocare una nuova riunione dopo il 15 settembre (termine ultimo per la presentazione di offerte vincolanti della nuova gara).
I ministri Urso e Pichetto Fratin hanno anche incontrato i commissari straordinari, la regione Puglia e gli enti locali (Comuni di Taranto e Statte, Provincia di Taranto), le organizzazioni sindacali, le associazioni datoriali e quelle dell’indotto siderurgico, per discutere l’accordo interistituzionale di programma sull’ex Ilva.
Nei giorni scorsi il ministro Urso aveva inviato agli interlocutori il piano sulla decarbonizzazione della società che prevedeva entro il 2033 la chiusura progressiva dell’area calda e l’installazione di 4 forni elettrici (3 a Taranto e 1 a Genova, quest’ultimo potrebbe diventare un asset autonomo o parte di un polo del Nord Italia, separato da Taranto), 4 impianti Dri a Taranto e la garanzia della fornitura di gas, anche attraverso un rigassificatore.
I 4 impianti Dri o preridotto (modo alternativo di produrre ferro, sviluppato per superare le difficoltà degli altiforni convenzionali) hanno come obiettivo di ridurre drasticamente l’impronta di carbonio e di altri fattori climalteranti, di migliorare la qualità dell’aria e tutelare la salute delle comunità vicine agli impianti produttivi. Dri d’Italia Spa, società controllata al 100% da Invitalia punta a realizzare un sistema innovativo di alimentazione dei forni elettrici, basato su una tecnologia consolidata. finora mai utilizzata in Occidente, per produrre acciaio green di alta qualità, permettendo una progressiva sostituzione del gas naturale con l’idrogeno.

Per quel che riguarda il fronte della vendita, venerdì scorso è stata pubblicata la lettera firmata dai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia (gestore) e di Ilva in Amministrazione straordinaria (proprietà), che riapre, aggiornandolo nei contenuti, il bando di gara. La lettera è stata inviata ai dieci gruppi che hanno già partecipato avanzando le offerte e tra questi le tre realtà che hanno puntato all’insieme dell’ex Ilva: gli americani di Bedrock, gli indiani di Jindal international e gli azeri di Baku Steel.
Nel frattempo, era iniziata la polemica politica e sindacale sulla proposta, alternativa a quella del ministro Urso, presentata dal Sindaco di Taranto e dalla sua maggioranza, dove viene confermata la chiusura progressiva dell’area calda a carbone e sostituita dai forni elettrici, ma senza l’utilizzo del rigassificatore e la predisposizione di un solo Dri. Proposta ritenuta non fattibile, dagli esperti del settore, perché il gas servirà in grandi quantità necessarie ai nuovi impianti. Allora perché dire no all’arrivo anche temporaneo di una nave di rigassificazione se ad oggi non c’è un’alternativa?
Contro la proposta del Sindaco sono intervenuti anche i metalmeccanici della Cisl, perché come afferma Uliano, Segretario generale della Fim, “condanna lo stabilimento di Taranto alla perdita di 7.000 posti di lavoro (già oggi 3.500 lavoratori sono in cassa integrazione fino al 2027), tra dipendenti diretti e dell’indotto”. Ma anche le imprese di Taranto hanno espresso la loro contrarietà: “Non possiamo fare i forni elettrici in un posto e da un’altra parte (Gioia Tauro?) gli impianti che li alimentano”.
Nelle ore prima dell’apertura del tavolo la polemica si è anche accesa tra le due principali istituzioni coinvolte, la Regione Puglia che ha partecipato al Mimit (“Lo spirito con il quale partecipiamo a questo evento è quello creare i presupposti per un accordo con il Governo”, ha dichiarato il Presidente Michele Emiliano arrivando al Ministero) e il Sindaco di Taranto, che guida il fronte del no, del quale fanno parte anche le associazioni ambientaliste, presente in videoconferenza e che, come ha anticipato nei giorni scorsi, non avrebbe firmato nessun accordo istituzionale di programma per la decarbonizzazione dell’acciaieria.
La firma della bozza di accordo al ministero di ieri è stata importante ai fini di garantire al nostro Paese autonomia nella produzione di acciaio, dato che viene usato in molti settori produttivi strategici. Questa intesa, come affermano i protagonisti, può altresì garantire il reimpiego di tutti gli addetti, anche diversificando le attività dell’area industriale uscendo dalla monocultura dell’acciaio. Inoltre, l’intesa ribadisce che si può investire al Sud per creare occupazione, rispettando l’ambiente e la salute.
Si tratta, infine, della dimostrazione dell’importanza delle parti sociali per affrontare questioni complesse e di istituzioni che facilitano il dialogo e rilancio la coesione sociale: strumenti che possono favorire la ripresa industriale nel nostro Paese.
In questi anni qualsiasi decisione sul futuro dell’ex Ilva si è sempre giocata su un terreno scivoloso, in cui interveniva continuamente la magistratura e una certa ambiguità politica del territorio determinata “dalla decrescita felice e dal continuo no a tutto”, che non ha però mai scalfito la posizione della Chiesa tarantina e quella delle forze sociali responsabili del territorio, le quali hanno sempre chiesto di salvaguardare quest’asset industriale strategico per il Paese capace però di un confronto diretto con le legittime istanze di tutela ambientale e sanitaria del territorio.
Questa bozza di accordo è la dimostrazione che esiste un interesse generale, che va difeso e tutelato con la responsabilità di tutte le forze politiche e sociali del nostro Paese.
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