Contro la prevalenza dell'impianto organizzativo e l'oblio del passato, Ivano Dionigi ha scritto un libro che rimette a fuoco il vero soggetto della scuola
Da qualche decennio la politica scolastica ha concentrato in prevalenza il suo interesse sull’impianto organizzativo del sistema di formazione, sulla gestione delle scuole concepita sempre più in ottica manageriale e sulla loro capacità di rispondere alle esigenze di quello che, con termine sbrigativo, è definito comunemente il territorio.
Meno marcata è stata invece l’attenzione rivolta alla qualità degli insegnanti, scelta condizionata da una aggressiva iniziativa sindacale finalizzata ad assicurare il “posto” al maggior numero di laureati disoccupati senza andar troppo per il sottile sulla preparazione.
Su questo squilibrio invita a riflettere, all’intersezione tra la dotta lezione filologica sull’origine e struttura dell’espressione magister e della terminologia pedagogica che le fa da corona (scholé, paidéia, humanitas), e l’appassionata analisi sulla realtà scolastica del nostro tempo, il volume del latinista Ivano Dionigi, già rettore dal 2009 al 2015 dell’Università di Bologna: Magister. La scuola la fanno i maestri non i ministri (Laterza, 2025).
Il saggio offre più di uno spunto per un’attenta lettura non soltanto storico-letteraria del passato, come potrebbe apparire ad un primo superficiale sguardo. Nel prendere in esame la vita della scuola contemporanea ed esaminandone le caratteristiche più rilevanti l’autore infatti pone al centro della riflessione la ragion d’essere stessa della scuola, vista come “fulcro e avamposto civile del Paese” e come “contrappeso e anche contraltare al monoteismo tecnologico imperante”, le cui fortune sono affidate alla sapienza pedagogica (così si spera) degli insegnanti.
A partire da questi presupposti Dionigi indaga le ragioni dell’odierno indebolimento scolastico e ne richiama vigorosamente i fondamenti che, lungo varie fasi, dall’antichità in poi hanno richiesto indispensabile una “scuola buona” contando sull’opera dei magistri e cioè di quanti erano e sono deputati a introdurre nella vita adulta i giovani.
La tesi cara a Dionigi si trova già nel sottotitolo del saggio: la scuola la fanno i maestri e non i ministri. La qualità della formazione delle nuove generazioni è affidata soprattutto alla preparazione culturale unita alla sensibilità educativa degli insegnanti e non tanto – o solo – alla più o meno azzeccata architettura dell’impianto organizzativo disegnato dalla politica. Aver coltivato nell’ultimo mezzo secolo l’illusione di invertire questo equilibrio è stato fatale.

Il latinista bolognese individua nel funzionalismo tecno-scolastico degli ultimi decenni sintetizzato nella triade delle tre I, Inglese-Internet-Impresa l’afflosciamento dell’educazione scolastica. Queste tre parole, scrive l’autore, “non solo non hanno risolto i problemi, ma si sono rivelate essere, almeno in parte, il problema” perché affidate unicamente alle “categorie dei mezzi, dello spazio, del presente”.
Come formare, dunque, in un’epoca in cui i mezzi sembrano sovrastare i contenuti persone non gregarie, intelligenze libere e capaci di porre limiti e prendere le dovute distanze da macchine più o meno in grado di sostituirsi al pensiero umano?
Dionigi rilancia il ruolo dei magistri del nostro tempo, cui affida il compito di maneggiare altre tre I, del tutto diverse e alternative dalle precedenti: Interrogare, Intelligere, Invenire, tre verbi che egli interpreta nel solco della cultura classica, da Platone a Seneca, da Sofocle ad Agostino.
Interrogare come saper/sapersi porre domande è la prima condizione per scoprire l’umano che è in noi e negli altri.
Esercitare la capacità critica e alimentare la comprensione (Intelligere) significa compiere un passo decisivo per stabilire il rapporto tra le cose e tra noi e le cose (la relazione come base della vita umana).
Saper, infine, scoprire (Invenire) ciò di cui godiamo senza merito (la tradizione) e, al tempo stesso, saperla oltrepassare senza violarne lo spirito per sperimentare “ciò che non è ancora” è condizione necessaria per vivere responsabilmente nel tempo che ci è dato.
Il prof. Dionigi non cade nel tranello dell’opposizione tra cultura classica e sapere scientifico e, tanto meno, rimpiange il bel tempo che fu, ma cerca solidi fondamenti perché si possa realizzare l’alleanza tra notum e novum che è alla base di ogni reale e ordinato progresso.
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