Giovedì il Cdm ha varato un Dl scuola con la riforma dell'esame di maturità. Fanno da corollario il 4+2, le solite immissioni in ruolo, il voto in condotta
Il Consiglio dei ministri di giovedì ha approvato la riforma dell’esame di Stato, che tornerà a chiamarsi esame di maturità. Crediamo che il ministro abbia avvertito, opportunamente, l’esigenza di far fronte alle contestazioni recentemente attuate da quei ragazzi che hanno scelto di non partecipare all’esame orale.
Al di là delle motivazioni esibite dagli studenti, peraltro in linea teorica condivisibili, è certo che il rifiuto di sostenere quella prova abbia inficiato la struttura stessa dell’esame. Con la stessa logica, altri alunni, in futuro, potrebbero escludere ulteriori parti dell’esame: il che avrebbe un esito paradossale e squalificante.
L’intervento ministeriale, che ha ribadito, esplicitandolo, l’obbligo (a nostro avviso già sussisteva) di partecipare a tutte le prove, appare pienamente giustificato.
La prova orale, inoltre, avrà una valenza multidisciplinare, limitandosi tuttavia a quattro materie caratterizzanti l’indirizzo ed eliminando il riferimento al “documento” che inaugurava la prova orale, ma che aveva creato incertezze, vuoi da parte degli alunni vuoi da parte della commissione.
I PCTO – precisa il decreto-legge – si chiameranno da ora in poi “Percorsi di formazione scuola-lavoro”, focalizzando, anche nella denominazione, il rapporto tra scuola e impresa. Si attua, inoltre, il passaggio dal modello sperimentale del 4+2 (quadriennio scuola superiore e prosecuzione biennale presso gli ITS Academy) a quello dell’ordinamento.
La scelta del governo dello status ordinamentale era del tutto prevedibile, dal momento che la stragrande maggioranza delle scuole ne aveva rifiutato l’adozione in via sperimentale.
Un tale diniego è apparso come diretta conseguenza del conflitto di interesse che vivono i collegi dei docenti, principali protagonisti della bocciatura della sperimentazione: gli insegnanti sanno che qualsiasi cambiamento implica un aumento di impegno professionale, almeno nella sua fase iniziale. Da qui, oltre che dal timore sindacale di perdita dei posti di lavoro (e di tessere), sono scaturite le delibere negative.
In attesa che si realizzi il cambiamento degli organi collegiali, necessario alla piena attuazione dell’autonomia scolastica, il ministero non poteva lasciar cadere la riforma del 4+2, che favorisce un ingresso più rapido nel mondo del lavoro e può evitare un incremento della dispersione.
Gli stanziamenti economici (240 milioni di euro) per il contratto dei docenti – “tutti i docenti”, secondo la precisazione del ministro Valditara – vanno in una direzione ben accolta dai sindacati. Gli aumenti saranno destinati agli insegnanti proporzionalmente all’anzianità di servizio, probabilmente senza l’introduzione di criteri distintivi, atti a costruire una possibile carriera.
Tutto questo ha a che fare con il tema della professionalità dei docenti, che non trova adeguati riconoscimenti a causa del frustrante egualitarismo.
La normativa sul voto di condotta, avviata nel 2023 con alcune Raccomandazioni e sviluppata ieri l’altro in sede di Cdm, rappresenta anch’essa un passo importante per il ripristino del riconoscimento del ruolo professionale dei docenti.

Concretamente ciò significa che il voto di “6” non basta a garantire agli alunni la promozione all’anno successivo, ancorché tutti gli altri voti siano sufficienti. Con il “6” si prevede – questo è quanto è stato precisato – che la valutazione sia sospesa in attesa di un elaborato critico che abbia ad oggetto i temi attinenti all’educazione civica.
È abbastanza chiaro come una tale riforma prenda avvio dai fatti di cronaca relativi agli episodi di aggressività contro i docenti, generati anche dalla perdita di prestigio sociale di quel ruolo. In tal senso, il ministro ha voluto contemperare l’attualità con una strategia di lunga gittata.
Ovviamente, la questione della professionalità presenta un forte grado di complessità sociale, rispetto alla quale i modesti stipendi rappresentano uno dei fattori di degrado della loro immagine, ma l’ottica ministeriale è condivisibile, poiché muove dalla consapevolezza che il problema di fondo degli episodi di aggressività si connetta a quello dell’autorevolezza, su cui più volte è stato posto il focus dell’attenzione.
Tuttavia, se riformare il voto di condotta significa andare nella direzione giusta, occorre considerare altresì che l’autorevolezza discende dalla capacità dell’insegnante di accendere le menti degli alunni, interessandole e provocando in loro, platonicamente, l’eros per la conoscenza.
Del resto se – come è stato recentemente osservato su queste pagine – “la scuola la fanno i maestri e non i ministri”, è opportuno anche rivedere le modalità di selezione del corpo docente, le quali dovrebbero prendere in esame, oltre ai titoli e alle conoscenze, anche aspetti psicologici come l’attitudine e l’empatia.
Da questo punto di vista, l’intento ministeriale di immettere in ruolo alcune decine di migliaia di insegnanti non è di per sé qualificante, sebbene non sia auspicabile per nessuno il precariato a vita. Molto dipenderà da come saranno effettuate quelle immissioni, poiché, dal punto di vista del sindacato che le ha fortemente caldeggiate, la scuola è un sistema di welfare al servizio dei docenti, più che un’istituzione educativa al servizio degli alunni.
Sempre in relazione al voto di condotta, non vorremmo apparire pessimisti se prevediamo difficoltà attuative del nuovo regolamento, dacché la non promozione degli alunni, in sede di scrutinio, deriva in senso normativo da “insufficienze gravi e diffuse” (DPR n. 122/2009). Sarà tutt’altro che agevole conciliare un voto di condotta inadeguato con la presenza di voti sufficienti in tutte le altre discipline.
È facile supporre che “respingere” un alunno con il solo voto negativo in condotta sarà un’operazione pressoché insostenibile, su cui gli avvocati difensori degli alunni avranno partita facile.
Del resto l’insieme della normativa scolastica rappresenta un corpo eterogeneo (che andrebbe ricondotto a un nuovo testo unico), che si ispira talora a criteri divergenti o addirittura contraddittori, rendendo l’agire delle scuole tutt’altro che scontato.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
