Oggi nuovo sciopero generale per Gaza indetto dalla Cgil. Ma c’è qualcuno che ha scelto di rimanere a scuola: è lì che comincia la risposta
Non si tratta più di avere una certa idea politica, sostenere una specifica convinzione, parteggiare faziosamente, fare analisi storiche, dialettizzare: da tempo ormai, un qualsiasi giusto di questo mondo non può avere simili abbrivi per scegliere cosa dire o fare per Gaza. Abbiamo superato ogni misura di disumanità in maniera così profonda che ogni causa scatenante, ogni giustificazione morale o ideologica, ogni finalità superiore, hanno lasciato il posto soltanto allo strazio e al grido. Almeno per gli uomini e le donne comuni, per la gente, per chi sa cosa sia un bambino e non ha bisogno di definizioni.
Ma dove e come lanciare questo grido? Dissensi, cortei, proteste, iniziative umanitarie: tanto è già apparso sulle nostre strade, nelle nostre piazze, adesso anche sui nostri mari. Ed oggi un’altra manifestazione di vicinanza al popolo in fuga da Gaza e all’impresa della Flotilla dovrebbe risuonare nelle nostre città, nonostante la sordità già manifestata dai pre-potenti di questa terra.
Nel cinismo e nell’indifferenza diffusa, è già miracolo che qualcuno dica “no” e, per una volta, volevo anche io unirmi a questo coro. Tuttavia, ho avuto la (provvida?) sventura di fermarmi a pensare ed interrogarmi se l’ennesima protesta – l’ennesimo sciopero – fosse quello a cui desideravo veramente partecipare; se il mio grido fosse pienamente espresso da questa iniziativa; se il mio strazio fosse efficacemente messo a servizio del dolore del popolo martoriato di Gaza.
Andare al fondo del mio dolore, della mia rabbia, di quel che desidero è stata la molla che mi ha lanciato, non senza dubbi, in direzione diversa, ovvero stare, restare coi ragazzi e fare protesta a scuola, con loro: quindi, non fare lezione e dedicare questa giornata ad ascoltare cosa sanno, cosa vorrebbero sapere, cosa pensano di tutto questo; provare a recuperare il significato di alcune parole chiave, per raccontare cosa c’è davvero in ballo, e da quanto tempo, e con quanti attori; provare insomma a dare tentativamente un giudizio insieme a loro, affinché non siano soli davanti all’orrore.

Sì, perché anche la scuola troppo spesso li lascia soli, distante dalla realtà presente e dal vissuto; oppure pensiamo che potremo continuare a celebrare il Giorno della memoria come sempre abbiamo fatto, usando le solite frasi e i soliti slogan che già hanno allontanato tanti giovani dal sentire utile quella memoria?
Per questo, è ancora più urgente lavorare sulla consapevolezza e sulla coscienza: stare con loro e insegnare un metodo per giudicare senza essere preda di parole vuote, slogan, fazioni, generalizzazioni, ideologie tutt’altro che cadute! La prima protesta da insegnare loro è combattere l’ignoranza, per possedere davvero le cose che accadono; l’immoralità, per avere uno sguardo totalizzante e profondo sugli eventi; la trascuratezza del proprio io, per poter condividere tutto con tutti.
Qualcuno potrebbe dirmi che posso fare questo lavoro a scuola anche in un altro giorno ed oggi andare in piazza: verissimo, ma ho scelto di farlo oggi proprio per dare maggior valore, anche simbolico, al mio stare lì e soprattutto a loro, che meritano la speranza e la certezza di un bene possibile, anche grazie alla costruzione di una mentalità culturale nuova, frutto di una tradizione viva giudicata alla luce del presente.
Voglio dimostrare loro che la scuola è ancora luogo di costruzione del futuro attraverso la cura educativa delle loro persone; che la scuola ha da dire qualcosa al momento presente e non li lascia soli; che vivere l’attimo donato dentro il compito richiesto a ciascuno è la prima mossa che, misteriosamente e anche nascostamente, salva il mondo. La scuola oggi sarà la nostra piazza.
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