Tra i film alla Festa del Cinema di Roma c’è anche “Put Your Soul on Your Hand and Walk” di Sepideh Farsi
“Ci sono molti di modi di morire a Gaza”. Fatma Hassouna ne ha sperimentata una sulla sua pelle: uccisa da una bomba dell’esercito israeliano che ha sterminato l’intera sua famiglia, due giorni dopo l’annuncio della selezione a Cannes di Put Your Soul on Your Hand and Walk, il film che la regista iraniana Sepideh Farsi le ha dedicato. Quel film, in uscita il 27 novembre, è alla Festa del Cinema di Roma come proiezione speciale.
Tutto nasce quando la regista – esiliata dall’Iran e perseguitata politica del regime – è al Cairo per raccontare i profughi palestinesi e uno di loro parla di Hassouma come di una brillante fotografa che stava raccontando da Gaza lo sterminio del suo popolo. Dopo la prima videochiamata tra Farsi e la reporter, nasce l’idea di documentare quelle telefonate nel corso di un anno e di farne un film, attraverso cui le due donne, separate dai chilometri e da varie differenze sociali e culturali, possano confrontarsi e raccontare cosa avviene nella Striscia.
Le conversazioni, in cui le emozioni immediate si trovano a superare le difficoltà logistiche e di connessione, restituiscono il ritratto della vita quotidiana di Fatma, come questa sia in grado di mostrare le conseguenze di un assedio, i lasciti, i tentativi di immaginare un futuro che, in contrappunto, sembrano negati dalle immagini della realtà, quelle stesse immagini che la reporter filmava.

Farsi sceglie una via minimale per mettere in scena il suo soggetto, un ritratto via Whatsapp che non solo riesce a condensare un intero affresco, proprio come una miniatura, ma cattura, proprio con quella scelta, sfumature della realtà che altrimenti sarebbero a rischio di enfasi, di fraintendimento, per esempio, la normalità con cui Fatma ha imparato a vivere e parlare delle atrocità di cui è testimone. In tempo poi di strisciante tecnofobia, Put Your Soul on Your Hand and Walk dà anche il senso della tecnologia come ancora di salvezza, del video e dei dispositivi mobili come orizzonti e viatici di speranza.
Un film fatto di nulla, tecnicamente, ma infuso della sensibilità dello sguardo di una regista capace di cogliere in un volto coperto da un velo e in due occhi verdi l’andamento di un massacro, come se quel volto fosse lo specchio in cui la distruzione di una nazione si riflette per dire al mondo che c’è, che la morte non basterà a estinguerli.
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