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Home » Politica » Giustizia » MILANO, MODA, BANCHE/ Quelle “operazioni speciali” (contro l’Italia) che sanno di politica

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MILANO, MODA, BANCHE/ Quelle “operazioni speciali” (contro l’Italia) che sanno di politica

Stefano Bressani
Pubblicato 5 Dicembre 2025
Veduta panoramica dei grattacieli di Porta Nuova al tramonto dalla terrazza del Duomo, Milano 6 Giugno 2024.  ANSA/ MATTEO CORNER

Veduta panoramica dei grattacieli di Porta Nuova al tramonto dalla terrazza del Duomo, Milano 6 Giugno 2024. ANSA/ MATTEO CORNER

13 brand della moda sono entrati nel mirino della Procura di Milano: l’accusa è quella di caporalato. È il terzo blitz dei pm e suscita molte domande

La Procura di Milano ha ordinato ieri una “retata” di perquisizioni presso 13 aziende italiane leader del fashion, un settore di cui la metropoli lombarda resta hub globale, con un impulso portante alla competitività dell’Azienda-Paese, sia in termini di cifre che di qualità d’immagine. I brand sono stati oggetto di acquisizione di documenti per ipotesi di “caporalato”.


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Quella dei Pm milanesi è apparsa una ennesima “operazione speciale” in un’escalation osservabile da mesi.

La scorsa estate, a soli sei mesi dall’inizio delle Olimpiadi invernali organizzate da Milano assieme a Cortina d’Ampezzo, la Procura ambrosiana ha accusato l’amministrazione comunale di essere al centro di un comitato d’affari nella gestione immobiliare della città. L’inchiesta ha presto perso fondamento, non tuttavia senza danni per l’immagine di Milano, offuscata sui media internazionali.


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Una settimana fa, tre mesi dopo la conclusione di un’importante operazione finanziaria riguardante una banca milanese – con pieno successo sul mercato e senza alcuna obiezione da parte delle authority di vigilanza italiane ed europee – la Procura di Milano ha messo sotto indagine protagonisti dell’operazione (peraltro non per ipotesi di reato finanziario classico, con danni visibili per qualche parte).

Sono finiti nel mirino degli inquirenti, in particolare, due capi di holding finanziarie e industriali private nazionali, che hanno investito capitali propri in un progetto nel cui esito si è collocato anche il consolidamento della proprietà italiana (già di fatto esistente) di un’istituzione finanziaria primaria in Europa.


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Si tratta di una compagnia assicuratrice nata e tuttora basata in un’importante città italiana, custode di centinaia di miliardi di risparmio finanziario e previdenziale italiano e datrice diretta di lavoro a 14mila dipendenti nel Paese. Un polo oggi guidato da un manager francese, con dichiarate strategie di trasferimento in Francia della gestione degli asset del gruppo.

La semplice notizia dell’apertura delle indagini ha subito bruciato miliardi di valore in Borsa di varie società quotate, partecipate di risparmiatori italiani – direttamente o attraverso strumenti gestiti da banche e altri intermediari italiani – e da investitori internazionali. Nei giorni in cui lo spread italiano è sceso ai minimi da 16 anni, la Procura di Milano ha riacceso dubbi sull’affidabilità del Paese come piazza per importanti investimenti.

La Procura ha sequestrato lo smartphone del presidente appena designato nella banca appena passata di controllo: un ex direttore generale del Tesoro (successore di Mario Draghi) ed ex viceministro dell’Economia di Mario Monti. L’effetto oggettivo immediato è stato quello di intaccarne la reputazione e paralizzarne le funzioni all’inizio di un impegnativo riassetto di società blue-chip di Borsa a livello internazionale.

Pochi giorni fa, infine, un brand-ammiraglio della moda italiana ha perfezionato l’acquisizione di un’altra storica insegna del Quadrilatero ambrosiano, riportata al controllo italiano con un investimento a nove zeri di capitali propri e l’impegno personale dell’erede designato di una dinastia imprenditoriale. Nella sua iniziativa di ieri la Procura Milano ha ordinato la perquisizione dei quartier generali di entrambe le boutiques.

Questo è avvenuto pochi giorni dopo che un altro importante marchio del Made in Italy calzaturiero è stato oscurato dalla stessa Procura delle ombre di presunto “schiavismo”, in parte fugate da un primo intervento contrario dei giudici di merito. Tutto questo è avvenuto quando un’altra big del fashion milanese è entrata più che potenzialmente in asta di vendita (subito con forti interessamenti non italiani) dopo la scomparsa del fondatore. In tutti i casi sono in gioco, prevalentemente in aziende italiane non in crisi, centinaia, migliaia di posti di lavoro. Proprio quando le organizzazioni sindacali stanno rilanciando l’emergenza occupazione in un’Azienda-Paese costellata di crisi d’impresa.

Milano. Sfilata di Dolce & Gabbana (Ansa)

Tre o quattro indizi fanno una prova solo nelle “fiction”. Ma tre iniziative giudiziarie reali e pesanti di una stessa Procura difficilmente possono eludere interrogativi sull’uso della “fictio iuris” da parte dei magistrati inquirenti. Questi – visti con le lenti di un reality – sembrano aggirarsi per le strade natalizie della loro città accoltellando gli imprenditori del Made in Italy e frantumandone le vetrine come i black bloc antagonisti. E così facendo alimentano inevitabilmente il sospetto di una loro speciale “intifada” verso una riforma appena approvata dal Parlamento e in democratica attesa di referendum popolare confermativo.

Il primo – e forse l’unico – autorizzato a una riflessione istituzionale è il Presidente della Repubblica, cui la Costituzione affida anche la presidenza del Consiglio superiore della magistratura. Un ruolo di garanzia dello stato di diritto nella democrazia repubblicana, non di tutela dell’autonomia aprioristica e insindacabile dei magistrati. Soprattutto quando l’esercizio obbligatorio dell’azione penale si traduce nel rischio oggettivo di danni gravi – immediati, talora perfino irreparabili – alla “res publica” dell’economia e del lavoro.

Lo zelo istituzionale del Quirinale è stato visibile, pochi giorni fa, quando ha convocato il suo Consiglio supremo di difesa per sostenere il flusso di aiuti finanziari dall’Italia (dai contribuenti italiani) all’Ucraina. Un sostegno concretamente finalizzato, nell’immediato, all’acquisto di armi (non è noto se di fabbricazione italiana o invece con generazione di Pil industriale per Usa, Francia, Gran Bretagna, Germania, Israele o altre aziende-Paese).

Mancano intanto pochi giorni al centunesimo anniversario di una famigerata riunione della Camera, nella quale vennero abolite le libertà costituzionali vigenti all’epoca in Italia (con il silenzioso avallo del monarca). Non è affatto improbabile che l’evento venga rievocato con toni di eterno allarme la “minaccia fascista” alla democrazia. Avverrà verosimilmente anche a fine gennaio, nelle diverse inaugurazioni dell’anno giudiziario. Sarà anzi interessante ascoltarne le varianti retoriche d’occasione. Anzitutto al Palazzo di giustizia di Milano. E alla Corte di Cassazione di Roma.

P.S.: sembra meritare una segnalazione la reazione dei grandi media nazionali al raid giudiziario di ieri a Montenapoleone e dintorni. Sulla home del primo quotidiano italiano (basato a Milano) la notizia  non è comparsa in tempo reale e ha avuto esposizione ridotta. È filtrata una pensosità comprensibile: i pm locali sono parsi sabotare a orologeria la Prima della Scala, storico evento civile e d’immagine della città.

Domenica sera, a Sant’Ambrogio, il padrone di casa sarà il sindaco e sono attesi per tradizione i grandi stilisti del Quadrilatero, frammischiati a decine di ospiti da loro vestiti. Alla serata sarà invece nuovamente assente il presidente della Repubblica (vi è stato invece a lungo un habitué, assieme alla senatrice a vita Liliana Segre).

Sarà invece interessante registrare la partecipazione o l’assenza di un altro ospite di rito alla Scala: il capo della Procura. In Piazza della Scala, intanto, sono attese – altrettanto tradizionalmente da decenni – le proteste antagoniste: quest’anno particolarmente gravide di slogan.

Sul sito del secondo quotidiano italiano (basato a Roma) il blitz anti-lusso a Milano è invece comparso live fra le breaking news, per poi essere rapidamente abbassato sotto l’intero notiziario interno e internazionale. Una scelta che è sembrata muoversi in parallelo con la cautela del concorrente meneghino.

Una possibile lettura è che i media nazionali mantengano attivi loro algoritmi professionali e civili per assegnare un peso corretto (attento alla “cosa pubblica”) a ciò che appartiene alla civiltà democratica dell’Italia repubblicana rispetto a ciò che invece è sospettabile di non farne parte.

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Tags: Liliana SegreMario MontiMario DraghiQuirinale

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