La povertà per il 57% degli italiani è la forma di disuguaglianza aumentata di più. E per tre giovani su 4 non ci sono percorsi di vita chiari
In Europa quasi due persone su dieci, il 17,4%, hanno seri problemi a tirare avanti e anche se secondo i dati Eurostat nel 2023 la percentuale era più alta (19,1%) questi numeri individuano una fascia consistente di persone che sanno cosa vuol dire la povertà. In Italia questo è un tema sensibile per un numero sempre maggiore di persone, tanto che, come osserva Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi delle audience all’Università La Sapienza di Roma, il 57% degli italiani, quasi due su tre, pensa che la forma di diseguaglianza cresciuta maggiormente sia proprio la povertà.
La sensazione di precarietà per il futuro aumenta di più nei giovani: il 62% ritiene di correre e di impegnarsi per una meta che non è chiara. Ma ancora più grave è il fatto che viviamo in un mondo in cui l’ascensore sociale non funziona più, nella quale lo sgretolamento del ceto medio sta rallentando, ma nei ceti popolari lo scivolo sociale funziona, purtroppo, fin troppo bene e sono sempre di più le persone che si rendono conto di aver peggiorato la loro situazione.
Percezione della povertà in Italia: cosa dicono i numeri?
Se chiediamo alle persone qual è la forma di diseguaglianza che cresce maggiormente nel nostro Paese, al primo posto c’è proprio l’aumento della povertà, che è segnalato dal 57% degli italiani. Al secondo c’è la precarizzazione del lavoro, 45%, mentre al terzo posto, con il 44%, troviamo la mancanza di un impiego e di opportunità per i giovani. Cresce anche la forbice tra chi sta bene e chi invece fa fatica a sbarcare il lunario.
Un cambiamento che ha influito anche sulla composizione delle classi sociali?
Da questo punto di vista nel corso degli anni si è verificato un duplice processo. Da un lato, infatti, riscontriamo uno sfarinamento del ceto medio: nel 2003-2004, quindi vent’anni fa, il 70% degli italiani si sentiva ceto medio, oggi la quota è intorno al 35-40%. Si è dimezzata. È cresciuta soprattutto la quota delle persone che si sentono ceto medio in caduta, che sono il 34%, mentre il 18% percepisce se stesso come ceto fragile, che vive del proprio lavoro ma arriva a fine mese con difficoltà. Infine, ci sono le persone che si sentono povere, che hanno meno del necessario: sono il 7%.
Quanto è variato nel tempo questo senso di appartenenza?

Se chiediamo agli italiani quanto la loro posizione sociale è cresciuta negli ultimi anni, il 5% dice che è aumentata e il 22% che è diminuita: uno sbilanciamento notevole. Se osserviamo le percentuali all’interno del ceto medio vediamo che chi dice di aver aumentato la sua posizione sociale passa dal 5% all’11%, mentre nei ceti popolari la percentuale crolla addirittura a zero.
Cosa significa?
Che l’ascensore sociale è pesantemente bloccato. Questo è un po’ il simbolo della situazione che stiamo vivendo: da un lato l’ascensore sociale funziona solo per chi è ricco, che ha i soldi, dall’altra parte, invece, si è aperto lo scivolo sociale. La quota delle persone che ritiene inferiore la propria posizione è del 30% nel ceto popolare e solo del 5% nel ceto medio. Lo sgretolamento del ceto medio, insomma, si è fermato, ma è in ascesa un ulteriore scivolo sociale, per cui chi sta in basso scende sempre più in basso.
Per uscire da questa situazione, cosa vorrebbero gli italiani? Da cosa bisogna ripartire?
Le priorità sono due: stabilità del lavoro e aumento dei redditi. Il 29% chiede un aumento del potere di acquisto e il 27% maggiore stabilità lavorativa. Quindi più del 50% si concentrano su questi due parametri.
Che percezione hanno le persone del futuro, quali speranze?
Il futuro è una bella incognita: il 67% degli italiani sente che la società non offre più percorsi di vita chiari e per il 55% la sicurezza economica e sociale è incerta. Infine il 58% pensa al futuro con un senso di ansia e incertezza.
Qual è la percezione di questo aspetto da parte dei giovani?
Se in generale il 67% sente che la società non offre più percorsi di vita definiti, questa quota tra i giovani diventa il 74%. E lo stesso vale anche per gli altri elementi analizzati: il senso di ansia per il futuro sale dal 58% al 66%, mentre la mancanza di una sicurezza economica cresce dal 55 al 67%. Il 62% ha la sensazione di correre continuamente senza una meta chiara, un dato abbastanza chiaro sulla complessità del momento che vivono i ragazzi.
Perché i giovani sono più pessimisti?
C’è un aspetto di fondo di cui non si tiene conto: mentre da un lato la società ha precarizzato l’esistenza, per esempio con contratti a tempo determinato, cambi frequenti di lavoro, dall’altra parte il sistema non considera questi cambiamenti, tanto che, ad esempio, per avere un mutuo bisogna avere il posto fisso. Valgono i vecchi criteri.
Quanto pesa, invece, sempre per i ragazzi, la retribuzione?
Basta guardare gli annunci di lavoro, come faccio io per mestiere, per incappare nella ricerca di un ingegnere con due lingue e un master per il quale l’offerta economica non va oltre i 600 euro al mese. Viene richiesta l’iperprofessionalizzazione, ma poi non la si paga. A troppe persone capita di non poter rateizzare l’acquisto di una macchina perché non hanno un contratto a tempo indeterminato: se non c’è una fideiussione da parte dei genitori l’auto non possono comprarla.
(Paolo Rossetti)
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