Spicca ovunque il ritorno dello Stato nell'orientamento delle dinamiche finanziarie, che sembravano definitivamente lasciate al mercato
L’Offerta pubblica di scambio lanciata da Mps su Mediobanca è solo l’ultima di una serie di dinamiche che hanno interessato il sistema bancario nazionale negli ultimi mesi. Dapprima l’iniziativa di UniCredit in Germania – su Commerzbank – è stata fermata dalla contrarietà del Governo tedesco (che pure aveva ceduto al gruppo italiano un pacchetto consistente della banca salvata da Berlino nel 2009). Poi il Mef ha dato impulso importante sullo scacchiere nazionale con un passo paragonabile: ha accelerato la ri-privatizzazione di Mps (salvato dallo Stato nel 2016) collocandone tre quote rilevanti presso BancoBpm, Delfin e Caltagirone. Di qui un’offerta di scambio dello stesso UniCredit sul Banco e quindi, nei giorni scorsi, la sortita di Mps: appena dopo che le Generali – di cui Mediobanca è azionista di riferimento – approvasse un piano di alleanza con il gruppo francese Natixis, che avrebbe messo in joint-venture decine di miliardi di risparmio italiano finora in gestione presso la compagnia triestina.
È stato questo passaggio che ha messo in allerta il Governo. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, non ha avuto esitazioni ad appoggiare l’offerta lanciata da Mps (di cui il Mef detiene ancora una quota di minoranza) in nome della protezione del risparmio nazionale e in generale della piattaforma intermediaria italiana, formata da banche e assicurazioni. È stata del resto la posizione che ha ispirato il no del Cancelliere tedesco Scholz ai progetti di aggregazione di Commerz concepiti da UniCredit (peraltro una banca molto presente in Germania). E una parte dell’opinione pubblica tedesca è risultata particolarmente sensibile agli allarmi sulla possibile riduzione dell’offerta di credito alle imprese nella maggiore manifattura europea.
Al di là dei nomi e dei singoli progetti, spicca ovunque il ritorno dello Stato nell’orientamento delle dinamiche finanziarie, che sembravano definitivamente lasciate al mercato. Con sviluppi complessi: basti pensare che il nuovo ministro delle Finanze francese, Eric Lombard, è stato top manager della Generali in Francia, ma era ultimamente a capo della Cdc, equivalente francese della Cdp. Analogamente, il gruppo Natixis – candidato all’alleanza con Generali – ha come grande azionista il polo bancario Bpce, erede semipubblico di una duplice tradizione di casse di risparmio e di banche cooperative.
In questo spazio è stata più volte sollecitata e condivisa nell’ultimo anno la preoccupazione del Governo e l’opportunità che tornasse a fare “politica creditizia”: al fine di attivare – e certamente non disperdere all’estero – una rara risorsa strategica in cui l’Azienda-Italia può contare, a contrappeso del debito pubblico. Nel contempo gli sviluppi geo-economici hanno alimentato un ritorno dei nazionalismi: che un Paese europeo del G7 non può ignorare.
È vero che le regole dell’Unione europea – dai Trattati di Maastricht tuttora in vigore – sono ispirate al ritiro degli Stati dai mercati e all’integrazione dell’Europa nella competizione globale. I capi d’azienda – anche quelli italiani – si muovono quindi ancora in una logica di generazione di valore per gli azionisti investitori, benché i manuali affermino che essa vada a premiare la competitività delle singole imprese e quindi contribuisca al continuo irrobustimento delle singole libere economie. Le offerte pubbliche – trasparentemente proposte al mercato – rappresentano ancora lo strumento privilegiato per operazioni di crescita esterna dei grandi gruppi: anche quando è evidente che i singoli sistemi-Paese hanno preso a ragionare in termini di “piano regolatore”.
Nella dialettica fra banche e mercati, Ue e Governi nazionali spicca ancora la dichiarazione programmatica della nuova vicepresidente della Commissione – la spagnola Teresa Ribera, responsabile fra l’altro dall’Antitrust – a netto favore della crescita dimensionale delle imprese europee, soprattutto in settori strategici. È una posizione congruente con il Rapporto Draghi, votato a ricostruire e rafforzare l’Ue nei nuovi scenari globali. In esso è implicito un ritorno dell’azione di governo, in una fase sicuramente eccezionale: che ha fra l’altro decretato la non irreversibilità della globalizzazione di mercato come modello di “autogoverno” di economia e società. Ma anche impedire improvvisamente al mercato di operare dopo averlo “lasciato fare” per decenni può essere controproducente. Il riassetto bancario italiano – in Europa – può rappresentare un caso-pilota. Non sarebbe la prima volta.
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