Una seconda Offerta pubblica di scambio (Ops) – quella di Mps su Mediobanca dopo quella annunciata da UniCredit su Banco Bpm – giunge a scuotere il sistema bancassicurativo italiano a valle del collocamento di larga parte del pacchetto statale del Monte, avvenuto a metà novembre da parte del ministero dell’Economia. I destinatari, all’epoca, sono stati lo stesso Banco e i gruppi Delfin e Caltagirone, a loro volta da anni importanti azionisti di Mediobanca e Generali. L’accelerazione impressa ieri dalla mossa di Siena – appena ri-privatizzata dopo otto anni dal salvataggio pubblico – non ha quindi sorpreso gli osservatori finanziari e politici: un grande riassetto dell’industria finanziaria nazionale era in qualche modo atteso. E si è ora tradotto in due iniziative per molti versi gemelle, entrambe a loro volta più intermedie e strumentali di quanto possano apparire.
Esattamente come l’Ops di UniCredit su Banco Bpm, anche quella di Mps su Mediobanca nell’immediato ha lasciato freddo il mercato: che ha trovato non soddisfacenti offerte di solo concambio cartaceo con poco premio sulle quotazioni correnti e piani industriali dai contorni non nitidi. Ma né l’una, né l’altra offensiva – per quanto lanciate attraverso strumenti di mercato – sembrano avere nei fatti finalità immediate di successo.
UniCredit, a fine novembre, ha voluto con molta evidenza bloccare Banco, che stava avvicinandosi a Mps in un progetto di “terzo polo”, segnalando il proprio ritorno deciso verso il sistema nazionale dopo il discusso stop politico imposto dal Governo tedesco a un progetto di aggregazione con Commerzbank. Analogamente, la sortita di Mps su Mediobanca ha alcuni effetti immediati che appaiono indipendenti dal successo dell’offerta di scambio (e forse anche dal suo lancio effettivo).
Il primo e più importante è la ricomposizione – per ora sulla carta, ma non per questo poco significativa – di un network di partecipazioni già esistenti. Da ieri tutti gli analisti lavorano su questo schema: Delfin (16%) e Caltagirone (8%) larghi primi azionisti di Mps grazie a un’adesione scontata all’offerta su Mediobanca; e Rocca Salimbeni prima azionista relativa di Mediobanca con il 25% circa (somma del 19,5% di Delfin e del 5,5% di Caltagirone). E se l’azionariato restante di Mediobanca è molto frazionato (il solo socio significativo è Mediolanum, con il 3,3% e il residuo patto di consultazione supera di poco l’11%), l’istituto continua a fatica nel suo ruolo di azionista di controllo relativo (12,7% nominale) delle Generali: quando Delfin è al 9,9% e Caltagirone al 6,5% (Edizione Holding è al 3%).
Il semplice annuncio dell’Ops Mps ha quindi rettificato – in modo più che virtuale – una catena di controllo che dai gruppi Delfin e Caltagirone scende fino alle Generali. L’offerta (verosimilmente non nella sua configurazione definitiva) punta quindi a rendere visibile un risiko già in qualche modo compiuto, sollecitando tutti gli altri player (azionisti Mediobanca e Generali, vigilanza Bce/Bankitalia/Ivass, Governo, altri gruppi bancari e loro azionisti rilevanti) a partecipare al chiarimento, fra Stato e mercato, fra pubblico e privato.
Un primo momento – se l’Offerta sarà lanciata – sarà il livello di adesione, cioè l’irrobustimento della quota Mps in Mediobanca. E in parallelo sarà interessante osservare se il veto finora posto dalla Bce alla presa di controllo di Mediobanca da parte di due gruppi finanziari/industriali come Delfin e Caltagirone cadrà una volta che la quota di maggioranza relativa dell’istituto venisse trasferita a una banca come Mps.
Nel frattempo è ovvio che il mercato scommetta su possibili contromosse “da manuale” dell’Istituto di piazzetta Cuccia. Quest’ultimo è già stato protagonista, una ventina d’anni fa, di una “autoscalata” promossa – in segreto – dall’allora amministratore delegato Vincenzo Maranghi, erede di Enrico Cuccia. L’autodifesa fu condotta con l’appoggio decisivo di investitori internazionali (capitanati dal francese Vincent Bollorè): opzione che appare oggi poco praticabile, nel clima “neo-sovranista” che sta avvolgendo l’economia in tutta Europa. Per di più già nel 2002 le Generali furono oggetto di una “contro-scalata” da parte di banche, assicurazioni e fondazioni nazionali, sotto la regia dell’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. La difesa del colosso di Trieste riuscì e Maranghi dovette poi abbandonare Mediobanca (la quale rimase autonoma, ma perse progressivamente il suo primato nei grandi affari finanziari italiani). Nel gennaio 2025, infine, le Generali guidate da un amministratore delegato francese come Philippe Donnet hanno dato il via a una controversa operazione di fusione delle attività di asset management con il gigante francese Natixis, fra crescenti perplessità sul destino di decine di miliardi di risparmio nazionale. Chi potrebbe in ogni caso agire da “cavaliere bianco” di Mediobanca?
Una chance teorica toccherebbe a Mediolanum (concorrente di Generali forse interessata alla controllata Banca Generali). Ma è un gruppo partecipato da Fininvest (che è stata a lungo azionista minore diretta di Mediobanca) e pare difficile che gli eredi Berlusconi s’impegnino in un’operazione di contrasto a un’iniziativa che sembra godere dell’appoggio almeno implicito del Governo (il Mef è ancora azionista finanziario di Mps).
Qualche altro osservatore guarda anche a Unipol, che già in passato ha intrattenuto rapporti complessi con Mediobanca e la sua galassia (FonSai). Ma la compagnia emiliana della Lega Coop – fra l’altro azionista pivot di Bper – è quanto di più vicino si possa immaginare all’opposizione di Governo: nell’Emilia di Romano Prodi, Elly Schlein e Stefano Bonaccini.
Non da ultimo, andrà osservato quali saranno gli sviluppi del progetto “terzo polo bancario” che sembrava essere in costruzione fra Banco Bpm e Mps. Un progetto che sembrava stare particolarmente a cuore al Mef di Giancarlo Giorgetti. Ora è indubbio che la mossa di Caltagirone e Delfin ha ampliato la prospettiva a un tendenziale riassetto generale, sotto la regia ultima di palazzo Chigi, a sua volta al centro di un riassestamento globale di tutti i settori dell’economia e di tutti i suoi “poteri”. Non si può quindi escludere una separazione dei destini del Banco Bpm (con approdo finale in UniCredit) e di Mps, in prospettiva “capogruppo” di un polo che ricomprenderebbe anche Generali. Ma il ridisegno del sistema bancassicurativo nazionale appare certamente ancora in bozza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.