Il Libro del Siracide, a pochi giorni dall’inizio della Quaresima, ci ricorda che la scossa della realtà è un dono. È il metodo di Dio

“Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. I vasi del ceramista li mette a prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo. Il frutto dimostra come è coltivato l’albero, così la parola rivela i pensieri del cuore. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini” (Sir 27, 5-8).



A un passo dall’inizio della Quaresima la Liturgia di questa domenica ci sorprende con un testo che ha avuto la forza di attraversare i secoli, rimanendo una provocazione per ogni tempo. Quante volte, infatti, la realtà usa come metodo proprio quello di scuoterci? All’inizio rimaniamo sconvolti e disorientati, ma poco dopo emerge tutta la portata di quella scossa e verifichiamo cosa è rimasto in piedi e cosa è caduto.



Come mi raccontava un amico qualche giorno fa. Per una malattia diagnosticata da tempo ha dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico invasivo. Quando l’ho chiamato per sapere com’era andata mi ha detto: “Adesso inizia una fase nuova della mia vita. Capisco che devo attaccarmi all’essenziale, anche se non so ancora cosa sia”.

Nessuno rimane indifferente davanti alla scossa del reale. Anche nei rapporti accade la stessa dinamica. Il Siracide, infatti, avverte: “Il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo”. E il modo di ragionare, nostro e dell’altro, lo verifichiamo quando siamo “a tu per tu”. Nell’incontro personale è data la possibilità di scoprire e sorprendere il nostro interlocutore passando attraverso la prima forma di comunicazione che ci è stata donata: il corpo.



Mani che si stringono, più o meno intensamente, occhi che si cercano o che sfuggono, profumi che incuriosiscono o che ripugnano, arredi che accolgono o che mal dispongono… la fisicità dei rapporti è indispensabile per capire chi abbiamo davanti e chi siamo noi. Il modo di ragionare si esprime nell’impatto umano, prima che nell’esercizio del pensiero: “Il frutto dimostra come è coltivato l’albero”. Per questo possiamo sperare di non essere travolti dalle nostre interpretazioni nell’affronto della vita. I dettagli parlano, gridano, una verità già presente.

Possiamo entrare in questa Quaresima in mille modi: svogliati, esaltati, indifferenti, delusi, insofferenti, arrabbiati… oppure possiamo domandare questa cura per i dettagli del reale che la sobrietà, tipica di questo tempo, desidera valorizzare fino in fondo. Non l’ennesimo tentativo di affermare i nostri tentativi – alcuni li chiamano fioretti –, ma l’audacia di lasciarci spiazzare dal metodo di Dio.

Don Giussani, per esempio, lo descrive così: “È un atto di vita che mette in moto tutto. L’inizio della fede non è una cultura astratta ma qualcosa che viene prima: un avvenimento. […] È una vita e non un discorso sulla vita, perché Cristo ha cominciato a ‘balzare’ nell’utero di una donna! Questa consapevolezza si è persa negli ultimi secoli e così si è smarrita la possibilità dell’inizio di una risposta alle domande dei giovani. Se manca l’inizio, non c’è l’attacco al problema posto dalla natura dell’uomo: la necessità di una risposta alle esigenze della sua ragione. Parlare della fede ai ragazzi, ma anche ai grandi, è dire un’esperienza e non ripetere un discorso pur giusto sulla religione” (A. Savorana. Vita di don Giussani, Rizzoli, 2013, p. 1160).

Ma forse i discorsi ci risultano più comodi: non scuotono nessun setaccio e i rifiuti rimangono ben nascosti.

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