La proposta di un contributo pubblico di 10 euro al mese ai nuovi nati fino ai 18 anni non risolve i problemi della previdenza complementare

Mario Pepe, Presidente della Covip, illustrando l’ultima relazione (relativa al 2024), ha evidenziato che “la partecipazione alla previdenza complementare risulta ancora caratterizzata da un netto dualismo. Continuano a prevalere le adesioni di lavoratori ‘forti’, occupati nelle regioni settentrionali o centrali, di genere maschile e di età matura. Resta difficoltoso l’ingresso delle fasce più deboli di lavoratori, più giovani, di genere femminile e residenti nelle aree meridionali”.



Il lavoratore “forte”‘ è un occupato stabile, sindacalizzato, inserito in una comunità caratterizzata da relazioni industriali corrette in grado di attivare – a livello nazionale o tramite iniziative di welfare aziendale – quella contrattazione collettiva che rappresenta la fonte primaria della previdenza complementare.



Dall’angolo di visuale del sistema, però, emerge con chiarezza che il protagonismo della contrattazione collettiva è anche il suo principale limite: per quanto in Italia la copertura contrattuale sia sulla carta vicina al 100% dei lavoratori dipendenti, il collegamento effettivo organizzato delle imprese e dei lavoratori tra loro coinvolge delle minoranze più o meno importanti.

C’è un dato che mette in luce questi limiti. I Pip sono una forma di previdenza individuale istituite più tardi delle altre, ma è quella che si è ampliata più in fretta, ha avuto l’adesione di molti lavoratori dipendenti tra cui una quota di lavoratrici più ampia di quelle che aderiscono alle forme collettive. Ciò significa che – per tanti motivi – vi è una domanda di previdenza privata che non è intercettata da istanze collettive e che deve arrangiarsi. Il fatto che sia il Tfr la fonte portante del finanziamento della propria posizione individuale delimita di per sé l’area degli aderenti.



La Covip, tra le proposte avanzate nella relazione, ha fatto un’ipotesi: “Un bonus di ingresso potrebbe introdursi anche nel caso di nuove nascite per iscrivere i minori alle forme di previdenza complementare”.

È il caso di cui si parla in seguito ai servizi de Il Sole 24 Ore con l’idea di estendere all’Italia l’iniziativa della Germania di elargire una paghetta previdenziale di 10 euro al mese ai bambini fino al 18esimo anno di età, per iniziare a costruire una pensione integrativa fin dalla nascita. La somma complessiva totale alla fine sarebbe pari a 2.160 euro, una dote limitata che si rivaluterà nel corso del tempo perché i giovani potranno entrare in possesso del bonus solo quando termineranno l’età lavorativa.

Il progetto non risolve il problema della futura pensione per molti giovani che si troveranno spesso a fare lavori precari o sottopagati, ma rappresenta – scrive il quotidiano – una “spinta gentile” per portare il tema al centro dell’attenzione. Ovviamente l’operazione avrebbe un costo che viene puntualmente calcolato nel progetto.

Non si può dire che gli autori della proposta confidino in una ripresa della natalità visto che fanno riferimento a 330mila nati all’anno. Un flusso destinato a restare stabile perché quelli che entrano si compenserebbero con quelli che escono una volta raggiunta la maggiore età. Un trend che dal 20esimo anno determinerebbe – secondo le stime compiute – una spesa totale di 712,8 milioni di euro.

Ancor prima di valutare l’entità dei costi, occorrerebbe esaminarne l’utilità, perché i beneficiari si troverebbero a 18 anni a disporre di un capitale pressoché simbolico. Alla stregua del libretto di risparmio al portatore che veniva regalato ai bambini della mia generazione con l’aggiunta di qualche migliaio di lire a ogni compleanno.

Va da sé che ogni investimento a capitalizzazione è benvenuto, ma la previdenza complementare è come un albergo spagnolo dove – dicono – l’ospite vi trova solo quello che porta con sé. Di per sé la misura è inadeguata. Occorrerebbe implementare il più possibile il montante contributivo.

La Covip ha fatto delle ulteriori proposte in tal senso. Per esempio, trasformare la deducibilità dei contributi in una contribuzione di ingresso nei primi anni dopo l’iscrizione al fondo. O ancora la possibilità per tutti i lavoratori di riportare negli anni successivi le deduzioni fiscali di cui non si è beneficiato.

Inoltre, il contributo dello Stato dovrebbe essere accompagnato da un analogo versamento da parte della famiglia deducibile sul piano fiscale. Ma il problema di fondo resta quello di trovare una fonte di finanziamento stabile e corrente che svolga le funzione del Tfr per chi ne sprovvisto. Sappiamo che per i redditi più bassi o medio-bassi è previsto un regime di decontribuzione che determina un incremento della busta paga. Con misure di agevolazione fiscale si potrebbe incentivare il trasferimento delle somme corrispondenti al rafforzamento del montante contributivo.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI