“Adolescence” avuto un successo straordinario che dovrebbe interrogare le famiglie e gli educatori. Se ne parla oggi al Meeting. L’anticipazione
Perché la serie Adolescence ha avuto un successo globale, arrivando a posizionarsi tra le produzioni più viste di sempre su Netflix?
Questa è la domanda da cui prenderà avvio l’incontro che si terrà oggi al Meeting di Rimini domenica 24 agosto alle ore 13. Il dialogo, guidato da Valentina Frigerio di Tracce, vedrà come protagonisti chi scrive e Lorenzo Bassani, responsabile della Struttura semplice di psichiatria e psicoterapia dell’età evolutiva nell’Ospedale F. Tappeiner di Merano.
Per dare un’idea delle dimensioni economiche in gioco, basti pensare che una serie come Stranger Things ha avuto nella sua quarta stagione un costo stimato di circa 30 milioni di dollari per episodio. Il budget di Adolescence non è stato reso pubblico, ma è ragionevole pensare che, pur essendo una produzione innovativa e di grande impatto, sia stato nettamente inferiore rispetto a quello di altre grandi produzioni per lo streaming. È quindi interessante capire quali siano gli elementi che ne hanno decretato un successo così ampio.
Il dialogo al Meeting proverà a rispondere a questa domanda partendo dall’esperienza concreta dei relatori, con uno sguardo anche alla situazione attuale degli adolescenti.
Negli ultimi anni, infatti, diversi indicatori destano crescente preoccupazione: aumento della violenza, suicidi, autolesionismo, disturbi psichiatrici e alimentari (registrati ormai anche tra gli 8 e i 10 anni), consumo di droga e alcol, ritiro sociale, malattie sessualmente trasmissibili, dipendenza da smartphone e social, disagio rispetto alla propria identità sessuale. Fenomeni che stanno assumendo dimensioni sempre più gravi, trovando troppo spesso la società impreparata ad affrontarli.
Adolescence ha avuto la forza di portare al centro del dibattito molte di queste problematiche, evidenziando anche le responsabilità degli adulti che, soprattutto nelle società occidentali, appaiono sempre più distanti dagli adolescenti (ad esempio nel linguaggio) e sempre più ripiegati in un individualismo e in un borghesismo preoccupanti.
La serie, girata in modo magistrale, non offre appigli positivi o figure di bene a cui lo spettatore possa aggrapparsi: le sue quattro ore risultano emotivamente coinvolgenti, fino a lasciare un senso di angoscia. Alcuni temi affrontati, come la mascolinità tossica, la radicalizzazione online o la cultura incel (cioè la teoria del “celibato involontario” legata all’emarginazione dal mondo femminile), appartengono probabilmente più al contesto anglosassone che a quello italiano.
Eppure le domande che emergono sul mondo digitale degli adolescenti e sulle loro relazioni si impongono come schiaffi che costringono gli adulti a prendere coscienza della realtà che troppo spesso viene relegata a semplici e apparentemente distanti notizie di cronaca.
La serie vuole essere, in fondo, una provocazione: un invito rivolto a tutti i soggetti educativi e a ciascuno di noi a rimettersi in gioco, al di là del ruolo professionale. Non tutti devono essere insegnanti o educatori, ma tutti possono contribuire a educare, mostrando ai giovani la bellezza della vita e delle relazioni. Questa è la responsabilità a cui siamo chiamati.
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