Il caso di Aldo Moro raccontato dal film "Buongiorno, notte": cos'è successo allo statista sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse

Andrà i onda questa sera il film “Buongiorno, notte” dedicato alla (purtroppo) famosissima storia del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro, lo storico leader della Democrazia Cristiana che per 55 lunghissimi giorni restò nelle mani delle Brigate Rosse che volevano punirlo per il “compromesso storico” che di lì a poco avrebbe dovuto siglare con il Partito Comunista Italiano di Enrico Berlinguer, sancendo una vicinanza tra i democristiani e i comunisti.



Al di là del noto compromesso storico (che avrebbe segnato un importante svolta per la politica italiana, ma fallì proprio a causa del rapimento e della morte dello statista della DC), qui vorremmo soffermarci più che altro su quanto effettivamente accaduto ad Aldo Moro: per farlo è bene partire dalla data del 16 marzo del 1978, giorno in cui il parlamento avrebbe votato la fiducia della nuova formazione DC-PCI a guida di Giulio Andreotti.



Poco dopo l’uscita di casa, l’auto sui cui viaggiava Aldo Moro fu bloccata da un piccolo commando delle Brigate Rosse all’altezza di via Mario Fani: nell’arco di pochi minuti furono uccisi con una pioggia di proiettili tutti gli agenti della scorta dello statista e quest’ultimo fu prelevato – illeso – dalla sua auto e condotto a forza in un’abitazione in via Camillo Montalcini che divenne poi famosa con il nome di “prigione del popolo“.

Dal rapimento all’uccisione di Aldo Moro: i 55 giorni che sconvolsero l’Italia

In quella stessa posizione (o probabilmente anche in altre, punto mai effettivamente chiarito), Aldo Moro rimase per 55 lunghissimi giorni nel corso dei quali venne più volte interrogato da vari membri delle Brigate Rosse in quello che loro stessi definirono un vero e proprio “processo”: l’obiettivo era quello i scuotere l’ordine sociale e di ottenere rivelazioni scottati sui politici dell’epoca; ma se il primo fu raggiunto con successo, il secondo fu un vero e proprio fallimento.



Il ritrovamento del corpo di Aldo Moro (Foto: web)

Ad Aldo Moro fu concesso di scrivere diverse lettere durante la sua prigionia nelle quali chiedeva ad amici, parenti e politici di fare il possibile per ottenere la sua liberazione: richiesta rimasta inascoltata (lo stato decise di non trattare con i brigatisti) e che ci porta alla conclusione del “processo” con la condanna a morte di Aldo Moro, accompagnata dalla richiesta – anche questa inascoltata – di lasciarlo in vita in cambio della liberazione di alcuni esponenti delle Brigate arrestati.

Il successivo 9 maggio le Brigate Rosse fecero trovare il corpo di Aldo Moro all’interno del bagagliaio di una Renault 4 rossa che fu parcheggiata nel pieno centro di Roma in via Michelangelo Caetani, poco distante dalle sedi della DC e del PCI; e mentre negli anni le ipotesi alternative sulla morte dello statista (tra lo zampino degli apparati pubblici deviati, della CIA e del KGB) si sono – a dir poco – affollate, a processo furono condannati 15 esponenti delle BR, tra cui il presunto leader Mario Moretti.