Perché è stato cancellato ergastolo ad Alessia Pifferi anche è stata condannata per omicidio volontario: il ruolo delle attenuanti nella sentenza d'Appello
DALL’ERGASTOLO A 24 ANNI: PERCHÉ È CAMBIATA LA PENA
La sentenza della Corte d’Appello, che ha sì confermato la condanna di Alessia Pifferi per la morte della figlia Diana di 18 mesi, ma ha ridotto la pena dall’ergastolo a 24 anni, ha spiazzato l’opinione pubblica, che non si aspettava modifiche. In molti si chiedono perché l’ergastolo sia stato cancellato: la risposta risiede nel bilanciamento tra attenuanti e aggravanti.
La donna, condannata in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario aggravato, deve scontare ora 24 anni di carcere, visto che la pena è stata ridotta in secondo grado. In primo grado era stata riconosciuta l’aggravante del rapporto di parentela e non erano state concesse attenuanti; di conseguenza, la legge ha portato in automatico all’ergastolo.
Invece, in secondo grado i giudici hanno riconosciuto ad Alessia Pifferi le attenuanti generiche, basate sui suoi disturbi cognitivi ed emotivi, pur ribadendo che era capace di intendere e volere.

Come ricostruito dal Giorno, le attenuanti sono state considerate equivalenti all’unica aggravante riconosciuta: per cui, quando attenuanti e aggravanti si bilanciano, queste ultime non pesano più e il reato resta omicidio volontario, ma appunto senza aggravanti. In questo caso la pena prevista è da 21 a 24 anni, e la Corte ha scelto il massimo: 24 anni.
ALESSIA PIFFERI, LE TESI A CONFRONTO
Nella decisione sulla concessione delle attenuanti generiche hanno avuto un ruolo le perizie psichiatriche. Tre esperti nominati dalla Corte d’Appello hanno concluso che Alessia Pifferi ha disturbi del neurosviluppo, fragilità cognitive e immaturità affettiva, ma era comunque pienamente capace di intendere e volere. Questi disturbi non hanno modificato la sua capacità di capire ciò che stava facendo, ma sono stati considerati come attenuanti generiche.
Di diverso avviso la procuratrice generale, che nella sua richiesta di condanna aveva tirato in ballo l’ergastolo, definendo la condotta dell’imputata “raccapricciante” e “difficile da accettare”, ma compiuta da una persona pienamente lucida. Per l’accusa si trattava di omicidio volontario aggravato, quindi meritava il massimo della pena. Ma, come abbiamo visto, questa tesi non è stata condivisa dalla Corte d’Appello.
Le reazioni alla sentenza sono state diverse: le parti civili hanno espresso sollievo per il fatto che la vicenda non sia stata derubricata ad abbandono di minore, reato su cui puntava la difesa, secondo cui 24 anni di pena sono comunque troppi, mentre la famiglia è sconvolta per la riduzione della pena, che ritiene insufficiente rispetto al fatto commesso.
