Il Pd, nonostante le battute d’arresto come al referendum, resta solido. La crisi è della sinistra. Dentro i dem nulla si muove e nulla si muoverà
Come un proiettile sparato nel ventre molle di una balena che si perde nel suo avvolgente strato di grasso, neanche il flop referendario sembra aver smosso più di tanto il Pd targato Schlein, con buona pace per chi sperava che l’evidente insuccesso muovesse in qualche modo le sue limacciose acque interne.
Invece no, nonostante lo scontento di molti e l’insofferenza verso un accordo troppo stretto con Landini (e per di più su tematiche che già in partenza si sapeva che non avrebbero smosso troppo l’elettorato), non ci sono state visibili conseguenze.
Forse qualche mugugno in più, qualche sommesso “Visto, l’avevamo detto” sussurrato a mezza bocca, ma nessuno dell’opposizione (?) interna alla Schlein si è mosso più di tanto.
Neppure una riunione di direzione, una voce a levarsi criticando la segretaria a sottolineare il “flop”: meglio far finta di prendere per buona la versione di Boccia (abbiamo più voti della Meloni) e – come ha detto la Schlein – “Ci rivediamo alle politiche”.
Un po’ poco per chi sperava di sgambettare il governo a metà strada, ma la parola d’ordine è di tacere e al massimo sparlare sottotono nel rispettivo sottobosco.
Questo atteggiamento dovrebbe far riflettere chi spera che il Pd sposi una linea politica più chiara o si divida al proprio interno pro o contro la segretaria: il “chiarimento” non arriverà mai, sostanzialmente perché non conviene a nessuno.
I numeri sottolineano che il Pd più o meno resta in una lineare fascia di consensi intorno al 20-22% da ormai alcuni anni, che nessun tornado politico provoca sbalzi, e che alla fine è insomma vincente la linea della Schlein: la segretaria riesce soprattutto a mantenere lo status quo, in un sostanziale equilibrismo dove convive sempre tutto e il suo esatto contrario.
Esaminando le votazioni-chiave di questi mesi, sia a Roma che in Europa, è significativo che sulle questioni importanti o internazionali nel partito si siano man mano sviluppate addirittura quattro anime (che votano contemporaneamente sia il sì che qualcuno per il no, ma con altri gruppi che si astengono e altri ancora che spariscono al momento del voto) senza che nessuno minimamente più si scandalizzi; anzi, la frantumazione può permettere a ciascuno di poter dire che la propria “anima” interna è pur sempre rappresentata.
In tal modo, qualsiasi cosa succeda, al di là della solita, trafelata dichiarazione della Schlein davanti alle telecamere, tutto si assesta.
Lo stesso vale a livello di alleanze: si guarda alla costituzione di un grande polo di opposizione, ma badando bene a non prendere nessuna posizione netta (antifascismo e anti-melonismo a parte, ovviamente, ma questi sono ingredienti scontati), sapendo bene che qualsiasi scelta si faccia qualcuno si ribellerà, ma solo a parole e pure sottotono, in realtà accettando lo status quo ufficiale.
La politica del Pd si è così trasformata in una calcolata rendita politica che intanto assicura la continuità nei posti e nei sottoposti, tanto che ci si limita a criticare il governo tirando sostanzialmente a campare.
Addio alle speranze degli avversari di una divisione traumatica, di una scelta di campo chiara, di un “qualcosa di sinistra” che identifichi e renda credibile un qualsivoglia obiettivo: il ventre molle della balena rosa assorbe tutto, compreso qualche scandalo in periferia.
L’esempio più visibile è il silenzio dei “renziani” forse ancora esistenti nel partito, ma comunque ibernati nelle strutture, oltre agli amici di Bonaccini che resta in prudente, prudentissima attesa, ma certamente senza alzare la voce, tanto che qualcuno comincia a chiedersi cosa sia servito assumerlo alla presidenza del Pd se poi non condiziona comunque la segretaria dopo aver perso le primarie democratiche in modo tuttora inspiegabile.
Conta di più quindi la polizza di assicurazione della continuità, non disprezzando una “quota di garanzia” per future liste e candidati assegnati alle quote di minoranza in un Pd, che sembra aver fatto proprio il motto di Andreotti del “troncare e sopire”, in attesa che la Meloni si faccia male da sola o inciampi nei tanti trabocchetti, tesi, più che a lei, alla sua corte, spesso tutt’altro che furba o cristallina.
D’altronde è ormai certezza che l’elettorato Pd accetta tutto (o quasi) perché non ha alternative: troppo rozza la demagogia di Conte, troppa sinistra in un abbraccio spinto con Bonelli o Fratoiani, troppo pericolo il convergere al centro con il rischio di perdere più che averne vantaggi.
“Arrivederci alle politiche” insomma, che magari intanto qualcosa succederà e – visto il mondo inquieto che viviamo – comunque già sopravvivere non è così scontato.
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