Antonio Albanese: “Vengo da una famiglia operaia”/ “Ero destinato a fare altro…”

- Josephine Carinci

Antonio Albanese, attore e regista, si racconta sulle pagine di Repubblica: dagli esordi al cinema fino alla regia, all'ultimo lavoro nei suoi luoghi d'origine

Antonio Albanese 640x300 Antonio Albanese (Domenica In, 2023)

Antonio Albanese: “La comicità è fatica”

Antonio Albanese è ormai da vent’anni uno dei protagonisti del cinema italiano. Non è un figlio d’arte e probabilmente nessuno avrebbe immaginato cosa avrebbe fatto nella vita: i suoi infatti sono operai. A Repubblica, l’attore si è raccontato: “Vengo da una famiglia operaia, ero destinato a fare altro, ma ero un ragazzo che sentiva di avere delle cose dentro. Come un fuoco. I libri, il teatro mi hanno aiutato a tirarlo fuori. Io sono la prova che la cultura, la conoscenza, le buone letture sono una leva potente. Poi, certo, ci sono state anche tante persone e potrei citare da Danio Manfredini a Michele Serra e soprattutto Milano, che con i suoi spazi, luoghi, mi ha dato decine di possibilità per esprimermi”.

Salire i gradini, dagli esordi fino al grande schermo, per l’artista “non è stato difficile”, “Però in un certo senso mi riposo quando faccio le regie liriche o un film, perché la comicità è fatica, ha bisogno di molto studio e molte energie. Da più di un anno sto lavorando a uno spettacolo teatrale nuovo, sulle religioni, su un uomo che ha voglia di pregare ma non trova la posizione giusta e la verità è che non so quando riuscirò a debuttare, anche perché ho da fare cose che mi danno gioia al cinema e nuovi progetti nell’opera“.

L’ultimo lavoro da regista

In autunno uscirà “100 domeniche”, quinto film da regista di Antonio Albanese, che ha girato nei luoghi della sua gioventù, in primis Olginate, dove è nato. A Repubblica, ha spiegato: “Pensi che in una scena lavoro al tornio che è lo stesso dove avevo lavorato per sette anni da ragazzo, più di trent’anni fa. Il signor Gnecchi, il mio padrone di allora, non c’è più ma il figlio mi ha riaperto la piccola azienda. Io quei luoghi li amo profondamente. Il film è una storia amara, la discesa all’inferno di un uomo onesto, un operaio in prepensionamento il quale scopre che i suoi risparmi sono persi per colpa di alcune persone che hanno ucciso il suo sogno. Forse sono tornato lì, a Olginate, perché la storia allude a valori che lì avevo conosciuto, dove ho ancora amici come Don Davide Milani che ha aperto un cinema a Lecco perché non ce n’erano più. Ci sono tornato per vedere, per capire perché questo Paese sta rallentando, perché è in ritardo”.

Secondo l’attore e regista, in Italia c’è qualcosa che proprio non va ed è “Questa ossessione, direi disperazione che c’è in giro, nel voler mostrarsi più bravi degli altri, superiori, quello che ne sa di più. Mi viene in mente il mio personaggio, il sommelier. Ecco siamo un po’ come lui: ridicoli. E ciò che stiamo perdendo è il buon senso, una salutare normalità“.







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