L’Oratorio di San Silvestro a Roma è una meta perfetta per l’anno giubilare. Sulle sue pareti si trova la storia della donazione di Costantino

Roma, cuore pulsante della cristianità, custodisce tra chiese, reliquie e capolavori d’arte la memoria viva di duemila anni di storia. Il Giubileo rappresenta un’occasione preziosa per riscoprire questo straordinario patrimonio. Tra i luoghi meno conosciuti spicca l’Oratorio di San Silvestro, piccolo gioiello della Roma medievale. Si trova a pochi passi dal Colosseo, nel complesso monastico dei Santi Quattro Coronati.



Al suo interno, un ciclo di affreschi del XIII secolo racconta la leggenda della conversione dell’imperatore Costantino e la celebre (e controversa) “donazione”. La base del racconto è costituita dagli Actus Silvestri, documento risalente al V o VI secolo, in cui sono riportati episodi della vita del papa “che occupò il soglio pontificio per gran parte del regno di Costantino” (Tessa Canella, Gli Actus Silvestri, 2006).



Il ciclo pittorico si sviluppa in senso orario a partire dalla parete di controfacciata e ripercorre la cosiddetta svolta costantiniana, riletta appunto attraverso le vicende biografiche di papa Silvestro.

Nella prima scena si vede Costantino, colpito dalla lebbra. Dopo aver consultato senza successo vari maghi e medici, si decide a seguire l’atroce consiglio dei pontifices Capitolii, che gli prescrivono di immergersi in una piscina riempita col sangue caldo e fumante di fanciulli. Incontrando le madri disperate dei giovani scelti per il sacrificio, l’imperatore rinuncia però ai suoi propositi: preferisce morire piuttosto che salvarsi uccidendo creature innocenti.



Le scene successive, dalla seconda alla sesta, raccontano il seguito. Quella stessa notte all’imperatore appaiono in sogno Pietro e Paolo che lo esortano – per guarire dalla lebbra – a convocare a corte Silvestro, rifugiatosi sul monte Soratte per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani.

Costantino invia alcuni messi a cercarlo. Giunto a corte, Silvestro mostra all’imperatore le effigi dei due apostoli. Costantino si lascia guidare dal papa lungo un percorso di digiuno, penitenza e misericordia, al termine del quale riceve il battesimo nel Palazzo Lateranense. Uscito dalla piscina pietatis, è davvero mundus, guarito nel corpo e convertito nell’anima.

Nei giorni successivi, Costantino emana diversi editti a favore della fede cristiana. Gli affreschi illustrano la famosa “donazione”, con la quale l’imperatore cede al pontefice le insegne imperiali, il Palazzo Lateranense, la città di Roma, i territori italici e l’Impero occidentale.

Sulla parete opposta, tre episodi della vita di Silvestro completano il racconto: nel primo il papa resuscita un toro ucciso da un sacerdote ebreo provocando la conversione della regina Elena; nel secondo, con la stessa Elena, assiste al ritrovamento della vera croce di Gesù; nella terza doma un drago, sigillandogli la bocca con il segno della croce.

Tessa Canella osserva che l’agiografia “ha caricato il pontificato di san Silvestro di una portata simbolica rilevante e ne ha fatto, a suo dispetto, il protagonista di una leggenda dalle conseguenze durature”.

Ha assunto particolare rilievo proprio la “donazione” che il papa avrebbe ricevuto da Costantino, in quanto essa “fonda le basi del supremo potere civile della Chiesa e dimostra che il papa può a diritto considerarsi successore non solo di san Pietro ma anche di Costantino e quindi degli imperatori romani” (Emanuela Marino, Roma Sacra, 2005).

A rafforzare la leggenda, nell’VIII secolo è apparso anche un documento apocrifo intitolato Constitutum Constantini (La donazione di Costantino). Lo storico Giovanni Maria Vian è tuttavia molto chiaro: il documento è un falso creato “a metà del VIII secolo, quando in Italia cominciava a consolidarsi lo Stato pontificio, e si presenta come l’atto con cui l’imperatore cristiano avrebbe donato al papa Roma, il Laterano, l’Italia e l’Occidente. Trascurato per secoli, il documento fu utilizzato dai pontefici solo dall’XI secolo, durante la riforma gregoriana” (La donazione di Costantino, il Mulino, 2010).

L’invenzione della “donazione”, come del resto gli affreschi dell’Oratorio di san Silvestro, aveva lo scopo di rafforzare il potere temporale della Chiesa in una fase di crescita politica del papato. Occorre considerarla nel contesto della lotta per le investiture, il lungo conflitto tra Papato e Impero sul diritto di nominare vescovi e abati. Tali nomine (investiture) conferivano territori e potere politico, con ricadute profonde sull’equilibrio europeo.

Nel ciclo pittorico dell’Oratorio di San Silvestro, il significato della “donazione” è reso visivamente in due scene chiave. Nella settima, Costantino, in ginocchio, consegna a Silvestro il phrygium (la tiara), mentre un accolito porge al papa il sinichium (l’ombrellino simbolo della dignità imperiale); il papa, seduto in trono, accetta i doni e li benedice con gesto regale.

Nell’ottava scena, l’imperatore accompagna il papa, tenendogli le briglie del cavallo bianco secondo il rito dell’officium stratoris; due dignitari li precedono con spada e croce, simboli del potere temporale e spirituale.

L’intero ciclo è dunque una “operazione visiva” volta a legittimare il potere papale in un momento di forte tensione con l’Impero. Bisogna tener presente che nel 1244, pochi anni prima della realizzazione degli affreschi, papa Innocenzo IV, in pieno scontro con Federico II di Svevia (figlio del celebre Barbarossa) aveva spostato la corte pontificia a Lione e scomunicato l’imperatore.

Siamo dunque di fronte a “una splendida propaganda artistica, tutta romana” (Vian). Si trattò probabilmente di un’operazione efficace, in quanto l’Oratorio era posto all’interno della residenza fortificata destinata alla protezione del papa in un momento storico turbolento ed era dunque un luogo molto frequentato.

È bene chiarire che la lotta per il potere temporale non mirava appena a ottenere beni materiali, bensì, più profondamente, ad affermare chi fosse il vero sovrano: il pontefice concepiva la propria autorità come data da Dio (cfr. Matteo 16,18-19) e vedeva nel re un subordinato (che infatti riceveva da lui la corona), mentre il re riteneva che Dio si servisse del pontefice semplicemente come un mezzo, per fargli ottenere il potere che il cielo stesso gli aveva riservato.

A suo avviso l’autorità del capo della Chiesa doveva limitarsi alla sfera religiosa: per quanto riguarda la sfera temporale, doveva onorare e sottomettersi al re, come insegnano i santi apostoli Pietro e Paolo (cfr. Rom 13,1; 1Pietro 2,17). Dove finivano le ragioni del primo e dove iniziavano quelle del secondo?

Il Constitutum Constantini (la donazione di Costantino), documento la cui autenticità in età medievale non era contestata, ottenne il suo scopo finché l’umanista tedesco Niccolò da Cusa (1401-1464) sollevò diversi dubbi circa la verità storica del testo. Le sue tesi anticiparono la celebre analisi di Lorenzo Valla (1407-1457), che nel De falso credita et ementita donatione Constantini smontò il documento con raffinata analisi filologica e lo classificò come un falso dell’VIII secolo, rilevando anacronismi e contraddizioni.

Se la donazione di Costantino si è rivelata un falso, il messaggio che veicola continua a interrogare: quale rapporto ci dovrebbe essere tra autorità religiosa e potere civile? Chi ha il compito di guidare l’uomo e la società verso il bene comune? Qual è il ruolo della Chiesa nel mondo contemporaneo?

Non è facile trovare risposte definitive. Si può almeno dire che la distinzione tra potere religioso e temporale ha richiesto un processo lento e complesso, segnando la politica, la cultura e la stessa percezione identitaria dell’intero Occidente.

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