Nel Carcere Mamertino, Foro Romano, si trova un affresco del XIV sec. che racchiude la verità del cristianesimo: il rapporto tra Cristo e Pietro

“La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli” (Caritas in Veritate, 19; Fratelli tutti, 12).

Un affresco, forse poco conosciuto, nascosto nel Carcere Mamertino, nel cuore del Foro Romano, racconta l’amicizia tra Gesù e Pietro. Non un sentimento superficiale, ma un legame profondo che sostiene l’apostolo nella prova, che lo rinnova dopo il peccato e lo rende capace di affrontare persino la morte con un sorriso. In quell’abbraccio e in quello sguardo, il buio della prigione si illumina di speranza: il cristianesimo nasce e fiorisce dentro una storia di amicizia con il Signore, capace di trasformare persino un carcere in luogo di libertà.



Il Carcere Mamertino (Carcer Tullianum), situato nei pressi della Via Sacra, nel cuore del Foro Romano, era destinato ai prigionieri illustri condannati a morte dall’Impero, come Ponzio, re dei Sanniti (290 a.C.) e Vercingetorige, capo dei Galli (46 a.C.). Secondo la tradizione cristiana, vi sono stati rinchiusi anche gli apostoli Pietro e Paolo nei giorni precedenti il loro martirio (64-67 d.C.).



La struttura è composta da due livelli sovrapposti: l’ipogeo, accessibile da una botola nel pavimento (oggi raggiungibile scendendo una scala), fungeva da cella per i detenuti, mentre il piano superiore era probabilmente riservato ai soldati di guardia. Alcuni affreschi ricordano gli apostoli, il cui passaggio ha trasformato il carcere in luogo di culto e in meta di pellegrinaggi.

Spicca l’immagine, insolita nella storia dell’arte cristiana, in cui Gesù abbraccia Pietro ponendogli una mano sulla spalla (XIV secolo). L’apostolo osserva il maestro con un sorriso appena accennato. L’espressione del suo volto porta alla mente una frase del Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).



Nel Carcere Mamertino, dentro al buio della cella, Pietro ha sicuramente rivissuto la memoria della sua amicizia con il Signore. Il dipinto mostra la profondità del loro legame. Cristo aveva chiamato i suoi discepoli “amici” (cfr. Gv 15,14-15) e aveva affidato loro il mandato di ammaestrate tutte le nazioni, di battezzarle e di introdurle a tutto ciò che Egli aveva insegnato (cfr. Mt 28,19-20).

Pietro aveva accolto l’invito ed era partito, annunciando la risurrezione. A Roma, una volta imprigionato, sapeva di essere destinato alla croce. Non dimenticava però le parole di Gesù, che gli aveva detto: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Abside della Basilica di Sant’Apollinare in Classe (VI secolo)

Il sorriso che affiora sul suo volto sembra esprimere la certezza della presenza di Cristo. Sono giorni drammatici, ma l’apostolo confida nelle parole del Salmo: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla … Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sal 22).

Allora si comprende che la scena in cui Gesù appoggia una mano sulla spalla di Pietro racchiude una verità fondamentale del cristianesimo. Essa esprime infatti l’amore gratuito e personale di Cristo per i suoi, quell’amore capace di trasformare la fragilità umana in donazione appassionata e totale.

Allo stesso tempo, “l’abbraccio esplicita, usando un linguaggio visivo di forte impatto emotivo, i poteri percepiti da colui che è cinto e il suo ruolo di intercessore e mediatore in questioni spirituali” (Giulia Bordi, San Pietro in Carcere: immagini e palinsesti pittorici tra XI e XIV secolo, 2022), confermando Pietro nel compito affidatogli sulle sponde del lago di Tiberiade: “Pasci le mie pecore” (Gv 21,17).

L’apostolo Pietro, ormai anziano, si porta nel cuore la consapevolezza del peccato e del rinnegamento. Gesù però lo conferma nella missione. Egli viene scelto non per meriti personali, ma per la semplicità nel lasciarsi amare e rinnovare da Cristo.

Il suo sguardo intenso, reso con tratti essenziali ma carichi di significato, rivela la fiducia filiale che nasce dall’esperienza del perdono ricevuto; il sorriso lascia intravvedere il cammino interiore di un uomo che ha riconosciuto in Gesù la radice della propria identità e che ha accolto la sofferenza come parte della propria vocazione.

Per lui il legame con Cristo, fondato sull’amicizia, non è un vincolo affettivo superficiale, ma un’appartenenza profonda e definitiva: seguirà Gesù fino al martirio, certo di essere accompagnato e sostenuto istante per istante.

L’affresco si pone dunque come rappresentazione viva del rapporto tra Cristo e la Chiesa – di cui Pietro è il vicario in terra –, capace di trasformare qualsiasi luogo, perfino un carcere, in spazio di comunione e di speranza.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI