Novembre è il mese tradizionalmente dedicato ai defunti. Solo Cristo, con la sua morte e resurrezione, ha dato senso al sacrificio della vita
Fin dai tempi più remoti e ben prima di utilizzare la scrittura, l’uomo dedicò numerose delle sue espressioni artistiche al culto dei morti: sono molteplici le tracce che, nel documentare la presenza di tale culto, ci testimoniano come, già dalla preistoria, fosse radicata nel cuore degli uomini una religiosità profonda e duratura che desiderava misurarsi con l’insondabile mistero della morte.
Nel corso dei secoli successivi e tanto più dopo l’evento dell’Incarnazione, l’arte sacra mise a tema il dolore originato dal sacrificio della vita celebrando soprattutto il martirio come supremo vertice della testimonianza (il greco μάρτυρ è il testimone).
Fu così che il sangue dei martiri cominciò ad essere considerato, da parte della Chiesa, il contributo più prezioso ed eloquente all’edificazione del suo corpo glorioso; rappresentarne artisticamente il dramma sacrificale, incrementò la devozione a questi santi e fondò la ragionevolezza della loro offerta.
Con l’avvento dell’Illuminismo e il venir meno delle tematiche religiose in ambito artistico, si continuò ugualmente a porre l’attenzione sul culto dei morti come transito definitivo dal destino terreno a quello eterno: va detto però che in quel periodo la celebrazione del soprannaturale e del trascendente lasciò il posto ad una visione più razionale e umana, influenzata dalla scienza e dalla filosofia.
Il focus non si concentrò più sul martire cristiano che in prima persona aveva dato voce al salmo “la Tua grazia vale più della vita” (cfr. Sal 62,4), bensì sull’eroe, sul defunto famoso: quella sulla mortalità divenne dunque una riflessione filosofica che si rifletteva nella celebrazione della vita e nel culto della memoria più che nella venerazione di uomini e donne perseguitati e uccisi in ragione della loro fede.
Nei tempi moderni e nel mondo contemporaneo, l’arte che esalta il culto dei morti si manifesta attraverso la trasformazione degli spazi commemorativi – come ad esempio i cimiteri – in luoghi di espressione artistica e di integrazione con la natura: si utilizzano nuove tecnologie come installazioni luminose, proiezioni digitali e realtà amplificata per creare memoriali dinamici, mentre la Land Art e l’arte ambientale, attraverso l’uso di materiali eco-sostenibili, fondono tombe e monumenti con il paesaggio circostante.
Si assiste, insomma, ad un’evoluzione laica dell’arte funeraria con progetti che vedono artisti e designer creare urne cinerarie d’autore, riflettendo una ricerca di bellezza ed estetica che non viene meno con l’estinguersi della vita: il culto dei morti passa così dalla commemorazione personalizzata all’esplorazione di simboli universali e all’uso di tecnologie innovative.

E tuttavia, nonostante il progressivo venir meno dell’arte sacra classica ed il conseguente esaurirsi di soggetti strettamente dedicati al culto dei morti e alla loro devozione, non possiamo negare che la presenza suggestiva e potente di alcuni artisti abbia continuato ad illuminare l’universo pittorico del Novecento.
Uno tra questi è senza dubbio Gaetano Previati. Nella sua opera Via al Calvario custodita a Milano presso il Museo Diocesano, l’autore documenta con singolare efficacia la fecondità del sacrificio della vita come misteriosa promessa di compimento.
La tela, davvero imponente (80×150 cm), ritrae un corteo lento e silenzioso mentre si inerpica sulle pendici del Golgota. Ad animarlo sono numerose figure femminili che si coagulano intorno al pianto sofferto e vibrante della Madonna: sostenuta da ambo i lati, Maria procede sulla via dolorosa trascinando con sé sagome monumentali di donne oranti: ampie vesti e scialli vaporosi avvolgono di sobria eleganza i profili appesantiti di queste coraggiose israelite che, incuranti del pericolo, hanno scelto piuttosto di sfidarlo.
Gerusalemme, con i suoi edifici anonimi e indifferenziati, si profila all’orizzonte come una città priva di riferimenti spazio-temporali, quasi a segnalare il dolore cosmico per la morte imminente del Figlio dell’Uomo.
Le tinte calde e smorzate, che ricordano certe opere del Tiepolo e del Tintoretto, accendono di luci monocrome l’intero dipinto, dove il turchese del cielo, ingombro di nubi, va a confondersi con i violacei e gli azzurrognoli del paesaggio rovente, mentre i passi cadenzati che ritmano il corteo si mescolano alla natura arida e scabra proprio là dove alberi e persone sconfinano oltre la tela.
“È incomprensibile e contro natura il sacrificio”, osservava Giussani nel suo Si può vivere così (cfr. BUR, Milano, 1994); “comincia a diventare interessante e significativo quando Dio muore in croce”. “E qual è l’iniziativa che Dio prende per salvarci dalla morte e dal male? La morte di Cristo. Però, pensare che Dio è diventato uomo ed è morto assassinato per ridare la possibilità della felicità a chi lo assassinava…”
E se la Chiesa ci offrisse ogni anno il mese di novembre per ricordarci che la vita vale per il sacrificio che vive? Troviamo anche noi, oggi, almeno un istante per pensarci.
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