Sarà anche un torneo “minore” (fino a un certo punto poi: è pur sempre un Master 1000), ma ogni vero appassionato sa che la finale del singolare femminile di Key Biscaine (domani, a partire dalle 16:30) è quanto di meglio ci potessimo aspettare. Serena Williams contro Maria Sharapova, la numero uno contro la numero due al mondo: una sfida eterna. Le due semifinali, come da copione, non hanno avuto storia: della vittoria della russa su Jelena Jankovic avevamo scritto, l’americana ci ha messo due minuti in più per superare Agnieszka Radwanska, contro cui negli ultimi precedenti ha tentennato soltanto una volta, quando nella finale di Wimbledon dello scorso anno ha ceduto il secondo set in uno dei suoi abituali passaggi a vuoto. Che Serena negli ultimi tempi è riuscita a limitare: da quando ha perso al primo turno del Roland Garros da Virginie Razzano ha infilato le vittorie dei Championships, degli US Open, delle Olimpiadi e del Masters di fine anno, fermandosi solo a Melbourne dove la schiena ha fatto le bizze e le ha impedito di contrastare al meglio la ventenne Sloane Stephens (che molti dicono possa essere la sua erede). Si è ripresa il primo posto nella classifica mondiale avendo già scollinato sopra i 30 anni: forse il tennis femminile non aveva mai avuto una dominatrice di questo livello dai tempi di Steffi Graf, cui Serena ha tolto il primato per le vittorie a Miami (60, una in più della tedesca). Masha però non è da meno: lei a Parigi ha trionfato (sulla nostra Sara Errani), e a conti fatti ha steccato solo a Wimbledon dove è stata eliminata agli ottavi da Sabine Lisicki. Poi finale alle Olimpiadi (persa contro Serena), semifinale agli US Open (eliminata dalla Azarenka), finale al Masters (ancora battuta dalla Williams) e semifinale agli Australian Open, quando ha perso da Na Li. In più ci ha aggiunto la vittoria a Indian Wells, dove Serena non c’era. Sono campionesse di regolarità: sullo stesso piano c’è forse solo Victoria Azarenka, che però rispetto a loro ha risultati più traballanti pur essendo sempre lassù, nelle prime tre posizioni del ranking. Sarà una finale vera: la Williams questo torneo l’ha già vinto sei volte (l’ultima nel 2009) perdendo una vita fa (1999) una sola finale contro la sorella Venus. La Sharapova invece deve sfatare un tabù che l’ha vista battuta in quattro finali su quattro, l’ultima proprio l’anno scorso contro la Radwanska. Giocano un tennis molto simile: bordate da fondo campo a cercare angoli e profondità, secondo lo schema preferito servizio-vincente. Entrambe tendono a soffrire se si riesce a farle entrare nello scambio e farle muovere per il campo; Serena però ha una pesantezza di palla che è decisamente superiore, quindi sopperisce a una scarsa agilità con colpi che spesso e volentieri sono decisivi quasi senza che l’avversario se ne accorga. Sulla carta, se Serena sta bene non c’è storia:
Lo dice la storia recente e lo dice il modo in cui l’americana sta in campo, triturando chi le si para di fronte con la tranquillità di un impiegato che a fine giornata va al campo a palleggiare con l’amico (mentre gli urli di Maria sono ormai arcinoti, tanto che – anche e non solo a causa sua – la Federazione sta pensando di introdurre una multa per chi “disturba” vocalmente). In più ci sono i precedenti: dicono 11-2 per Serena, che contro la russa non perde da poco più di otto anni. Per la Sharapova l’anno d’oro è stato il: aveva appena compiuto 19 anni e si presentava a Wimbledon già con la testa di serie numero 13. Arrivò in finale e incrociò la Williams che difendeva il titolo dell’anno precedente. Tutti la davano per spacciata, e invece fu lei a uscire dal campo con il trofeo di campionessa al termine di uno stupefacente 6-1, 6-4. Serena incassò da grande professionista (le bruciava eccome, ma riuscì a non darlo a vedere) e si presentò alla rivincita: il Masters di Los Angeles. Finì che vinse ancora la siberiana, ma da allora Maria non ha più battuto l’americana, che si può considerare la sua nemesi pur sapendo che Serena è la nemesi di tutti. Domani ci sarà un altro giro di giostra, in attesa dei grandi tornei. Siamo tutti invitati: con buona pace delle altre, questa partita non ha eguali.
(Claudio Franceschini)