Una Siria a nord sotto l’influenza turca e a sud sotto quella israeliana. Potrebbe essere questo lo scenario del dopo Assad. Un contesto nel quale, spiega Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, troverebbe posto anche una sorta di Stato druso. La stessa Turchia, inoltre, avrebbe delle mire su aree come quelle di Aleppo e Mosul. Insomma, c’è il rischio di una disintegrazione dello Stato siriano. Intanto procede l’operazione di comunicazione che tende a presentare Al Jawlani e Hayat Tahrir al Sham (HTS) come un gruppo diventato moderato. Ma anche in altre rivoluzioni, come quella in Iran a fine anni 70, all’inizio l’euforia aveva nascosto il vero volto del nuovo regime.
In Giordania c’è stato un vertice del segretario di Stato USA Anthony Blinken con i Paesi arabi e la Turchia per parlare del futuro della Siria: come pensano di gestire il Paese?
Di sicuro la Turchia di Erdogan gioca il ruolo di tutore principale, però nel sud Israele ha mano libera. Già nei primi due giorni dalla caduta del regime si sono contati 400 raid israeliani, a partire dall’estremo nord, a Qamishli, che è stata sede di una enclave governativa all’interno della zona curda. A questo si aggiungono le incursioni a Tartus, Latakia, contro la flotta navale, con il ministro della Difesa di Tel Aviv, Israel Katz, che dichiarava l’intenzione di andare a colpire tutti i depositi dell’esercito siriano. Circola anche una sorta di leggenda metropolitana, per cui in cambio della possibilità di fuga in Russia Assad avrebbe passato a Putin la mappa di tutti i siti militari e che il capo del Cremlino l’abbia data agli israeliani. Al di là di una voce poco convincente come questa, resta questa idea che Israele voglia una Siria smilitarizzata.
Israele ha messo fuori uso l’esercito siriano?
Alla luce di quello che è successo voglio vedere come saranno le nuove forze armate, senza aerei, senza navi e armi. Nel 2003 in Iraq l’esercito è stato sciolto, le milizie confessionali erano riuscite a prosperare grazie a questo, diversi ufficiali erano entrati in Al Qaeda e poi nell’Isis.
Il ministro della Difesa turco Yasar Guler ha dichiarato che Ankara è pronta a dare armi alla Siria. Ci penserà la Turchia a riarmare l’esercito?
Bisogna vedere cosa intendono per riarmare: a questo punto non basta fornire i kalashnikov. La Siria disponeva di una flotta, di carri armati. C’è da ricostruire il sistema missilistico. Israele in 48 ore ha distrutto l’80% dell’arsenale siriano.
Israele si è presa anche una parte di territorio. Ha anche mire di questo genere?
Hanno preso possesso di territori del Golan e del versante siriano del monte Hermon. Siamo a 20-25 chilometri da Damasco, che da lì si vede benissimo.
Lo stato maggiore dell’esercito siriano, intanto, dove è finito? Sono fuggiti anche i militari?
Si parla di esuli del regime a Dubai. Su Al Jazeera è uscita un’intervista alla persona che gestiva la sicurezza dell’aeroporto di Damasco, interpellato dagli ufficiali perché preparasse l’intera flotta di aerei disponibili (dodici) per la loro fuga. Alle 4.30, poco prima dell’arrivo dei ribelli in città, è partito un aereo con cinque alti ufficiali, con il ministro della Difesa, il capo dell’intelligence, dell’Aeronautica e altri. La destinazione non è stata specificata, ma in precedenza era stato chiesto di preparare voli verso la costa siriana e verso Bengasi, in Libia. Altri ex di Assad, invece, sarebbero passati per Beirut.
Quindi il regime si è rifugiato anche in Libano?
Al valico di frontiera di Masnaa sarebbero passate decine di macchine siriane: i giornali libanesi hanno raccontato che c’era un ufficiale che agevolava il passaggio ed Hezbollah che cambiava le targhe da siriane a libanesi. Altri valichi illegali hanno visto passare moltissime macchine che trasportavano “gerarchi”.
Gli altri Paesi dell’area come vedono questa operazione?
Gli Emirati Arabi mostrano una certa insofferenza: Assad era stato riaccolto nella Lega araba, grazie al lavoro di sauditi ed emiratini, questi ultimi avevano invitato il presidente siriano a mollare russi e iraniani. Assad, tuttavia, ha cercato di tenere il piede in due scarpe, anche se voleva mantenere buoni rapporti con gli Emirati Arabi, che avevano anche riaperto l’ambasciata in Siria. Dubai è arrabbiata perché la caduta di Assad ha rovinato i suoi piani.
Quali piani?
Gli Emirati Arabi stanno cercando di espandere la loro influenza dalla Libia alla Somalia, allo Yemen, fino a Gibuti. E si trovano sul fronte opposto dell’alleanza Qatar-Turchia. Quando Al Jawlani circolava in macchina nelle vie di Damasco, accanto a lui c’era il capo dell’intelligence turca.
La Siria del futuro sarà sotto controllo turco, ma resta il problema del sud del Paese: lì gli israeliani vogliono farla da padrone?
Israele sta cercando di incentivare anche la disintegrazione della Siria. D’altra parte, sui siti turchi si vedono cartine con una Turchia che comprende Aleppo, Mosul, Kirkuk. Qualcuno in parlamento ha detto: “Abbiamo ripreso Aleppo, cosa aspettiamo a riprenderci Mosul?”. È un vecchio sogno turco. Hanno mire anche su Idlib.
Cos’altro può succedere sul fronte sud?
La comunità drusa israeliana, la parte legata al governo Netanyahu, sta incoraggiando i corregionali siriani a chiedere a Israele di proteggerli da Al Jawlani. Ci sono cartine che nella zona sud della Siria individuano aree controllate da milizie locali, che in realtà sarebbero quelle druse. Lì potrebbe nascere piano piano uno Stato druso.
Per questo è possibile immaginare uno scontro Turchia-Israele?
No. L’unico contrasto è sulla zona curda. Israele è alleata dei curdi iracheni in funzione anti-iraniana. Con quelli della Siria c’è un avvicinamento, anche se Tel Aviv sa che questo metterebbe i bastoni fra le ruote ai rapporti con Ankara. C’è chi ipotizza anche un’area unica che riunisca sia il Kurdistan sia la futura zona drusa. Alla fine penso che verrà stipulato un patto di questo tipo: la Turchia ha mano libera nel Nord e Israele ce l’avrà nel Sud, tenendo in scacco la parte centrale. Se non sarà un’occupazione manu militari, quanto meno sarà una zona di influenza.
La parte jihadista dei ribelli, che ora si presenta come moderata, potrebbe ricordarsi dei suoi trascorsi e riprendere a perseguitare i cristiani?
Per ora sembra che il loro comportamento sia cambiato. La sharia sarebbe in ogni caso un passo indietro rispetto a un regime che si dichiarava laico. Intanto, durante le celebrazioni in piazza per la caduta di Assad c’era qualcuno che con il megafono invitava gli uomini a rimanere da una parte e le donne dall’altra, per evitare la promiscuità. C’è un cambiamento culturale rispetto a prima. Se una ragazza voleva fare un selfie con Al Jawlani veniva invitata a mettersi il velo, l’ha messo anche un’intervistatrice della CNN. Due anni fa, però, una giornalista della stessa emittente non aveva intervistato il presidente iraniano perché le era stato chiesto di mettersi il velo durante il colloquio. La cronista aveva fatto il suo servizio seduta davanti a una poltrona vuota.
Insomma, intorno a questi ribelli c’è una evidente operazione di marketing per far dimenticare il loro passato?
Vogliono riciclare Al Jawlani come moderato. Lui ha abbandonato il suo nome di battaglia, si presenta con la giacca. Stanno cercando di tranquillizzare l’opinione pubblica. Quanto durerà? Ricordo la rivoluzione khomeinista nel 1979: all’inizio c’era euforia per la caduta del regime ed erano presenti altre forze, oltre a quelle islamiche anche i comunisti, poi nel giro di un anno i pasdaran hanno fatto piazza pulita di tutti. Non vorrei vedere ripetersi lo stesso scenario.
Ma c’è proprio un’operazione concertata, una comunicazione orientata a questa narrazione, ad accreditare la svolta moderata di Hayat Tahrir al Sham?
Ad Aleppo c’era la voce che Al Jawlani avesse chiesto al vescovo latino di prendere il posto di governatore della provincia. Una notizia falsa, ma che intanto è circolata. Oppure è stata pubblicata la foto di un prigioniero chiedendosi se sia un vescovo ortodosso sparito da dieci anni.
(Paolo Rossetti)
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