CARO BOLLETTE/ Gli errori green di Roma e Bruxelles presentano il conto
I decisori pubblici, a Bruxelles come a Roma, non brillano certo per le loro mosse relative alla transizione green e al contrasto del caro energia

Il caro bolletta attuale rammenta la teoria delle conseguenze non intenzionali di azioni umane intenzionali ma senza progetto. Mentre il Parlamento si accinge a esaminare la manovra finanziaria approvata dall’esecutivo, sale il pressing dalle parti politiche per aumentare le risorse stanziate destinate a mitigare gli aumenti in bolletta per famiglie e imprese per effetto dell’impennata dei prezzi del gas. A fine anno l’Autorità per l’Energia andrà a ritoccare le tariffe del mercato in tutela per il primo trimestre 2022 e, nonostante i 2 miliardi di euro stanziati a questo fine, le bollette saranno più salate.
Fermento nella politica. La Lega richiede il raddoppio dei fondi. Sollecita il Governo a dichiarare lo stato di emergenza e a ricorrere alle riserve strategiche per allentare la morsa sui prezzi. Addirittura, chiede di prevedere degli strumenti per limitare il prezzo della CO2 e ritoccare il meccanismo di scambio dei permessi di emissione. Tutte misure che rientrerebbero dritte, dritte, nel perimetro dei tanto deprecati SAD, sussidi ambientalmente dannosi. Questo proprio all’indomani della COP26 e del rinnovato impegno anche dell’Italia a mantenere l’aumento delle temperature globali nel solco dei +1,5 gradi rispetto ai valori preindustriali. Più che addossare la situazione al fallimento del mercato energetico, sarebbe il caso che i decisori pubblici, a Bruxelles come a Roma, si facessero un esame di coscienza, liberandosi di questa schizofrenia che li spinge a fare annunci tanto ambiziosi quanto irrealizzabili almeno nel termine del loro mandato elettorale, salvo poi fare marcia indietro e pasticciare tutto.
Più che accusare le disfunzionalità del mercato del gas e manovre speculative, vale la pena ricordare che l’Ue ha detto che del gas non avremo più bisogno. Che l’incertezza normativa degli ultimi anni e le forzature della finanza green pilotata dai tentennamenti di Bruxelles sulla tassonomia verde hanno costretto il settore degli idrocarburi a un calo degli investimenti e conseguentemente della capacità di offerta. L’annuncio di acquisti di gas congiunti da parte della Commissione, con tempi lunghi e con modalità attuative ancora da definire, ha prodotto pochi effetti sui mercati, mentre la recente sospensione dell’iter di certificazione del gasdotto Nord Stream 2 che porta il gas russo in Germania bypassando l’Ucraina ha rialzato il nervosismo sul lato dell’offerta.
Annunciare, prima che i mercati energetici siano ristrutturati, il trasferimento sui consumatori degli indubbi vantaggi delle rinnovabili dando per acquisita la transizione solo perché si sono fissati degli ambiziosi obiettivi di riduzione delle emissioni per compiacere l’elettorato senza una complessiva analisi dei costi e benefici, si rivela per quello che è: un piano sconsiderato. Ora allarmati dalle esternalità di insostenibilità economica e dalle ricadute sociali, e preoccupati di perdere il consenso dei cittadini, i decisori sono pronti a rimangiarsi molto e spingersi anche oltre.
Più realisticamente, nell’intervenire sul caro energia, la Confindustria ha chiesto di considerare la potenzialità della produzione nazionale di gas, il cui costo estrattivo è 20 volte più basso dei prezzi sul mercato. Cinque centesimi contro un euro per kilowattora.
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