La competitività dell’Europa è in pugno alle scelte di qualche centinaio di hedge fund e intermediari. È la finanza e non la reale disponibilità di forniture a determinare l’andamento delle quotazioni del gas all’Intercontinental Exchange, ICE, la borsa di Amsterdam. Qui il prezzo non è il risultato di effettivi scambi fisici di molecole di gas, ma delle scommesse al rialzo o al ribasso dei trader sull’andamento dei contratti futures. Questa finanziarizzazione spinta porta a una speculazione strutturale sul TTF, riconosce Salvatore Carollo esperto di trading energetico. Per superare queste disfunzionalità di rendite che pesano sulle bollette di famiglie e imprese europee “basterebbe abbandonare il TTF e usare come riferimento un indice basato sulla media pesata dei prezzi dei carichi importati in Europa”.
Nelle ultime settimane il prezzo del gas con aspettative di ulteriori rialzi ha trainato i prezzi all’ingrosso dell’elettricità che hanno superato i 130 €/MWh con punte di 145€/MWh. La media del 2024 era di 108,5 €/MWh. Nel question time alla Camera di mercoledì scorso, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha indicato tra le misure allo studio dal Governo per contenere le spinte speculative sul gas, l’anticipo temporale delle aste sul gas per gli stoccaggi per evitare di far salire il prezzo nei periodi in cui la domanda è maggiormente concentrata. È una misura efficace?
Purtroppo, no. La speculazione ad Amsterdam sul TTF è strutturale. Si tratta di una borsa del gas dove non c’è un adeguato volume fisico di gas scambiato. Quindi, agli scambi di contratti futures (puramente finanziari) non corrispondono consegne di volumi fisici di gas. Nessuno può pianificare i propri acquisti di volumi fisici alla borsa di Amsterdam, ma solo giocare comprando e vendendo contratti “paper”. Si gioca sui movimenti di prezzo generati dalle aspettative e dalle manovre dei traders. Purtroppo, a dare credibilità a questo gioco sono state, prime fra tutte, le compagnie petrolifere italiane che hanno chiesto a Gazprom di cambiare le formule di prezzo dei contratti a lungo termine eliminando l’indicizzazione ai prezzi dei prezzi petroliferi (più stabili) e introducendo l’indicizzazione al TTF. Arera, in sequenza, aveva adottato il TTF per fissare il prezzo del gas al consumo in Italia. Draghi tentò di modificare la situazione introducendo “il tetto” al prezzo, che avrebbe dovuto bloccare le manovre sul TTF. E in parte ha funzionato, perché i traders hanno evitato di speculare troppo sul TTF, temendo di essere indagati dall’Ue.
Quando l’altro giorno la Germania ha avanzato l’idea di un tetto sul prezzo del gas nelle aste estive per lo stoccaggio, il prezzo dei futures è schizzato. È la naturale reazione di mercati competitivi?
Come già detto, i trader appena vedono una possibilità intervengono con azioni di acquisto allo scoperto da richiudere successivamente. Il problema è la dimensione della Borsa. Per dare un esempio, la Borsa del Brent di Londra muove scambi di 2-3 trilioni di dollari giorno, una liquidità che non consente a nessun complesso di trading finanziario di manipolare il mercato. Ad Amsterdam, la liquidità è solo di 1-3 miliardi di dollari al giorno e pertanto basta che 3-4 traders di importanza internazionale si muovano di concerto per determinare la situazione di “mancanza” di risposta da parte della Borsa e un rialzo significativo del TTF, che noi usiamo come prezzo del gas. Occorrerebbe prendere atto che in Europa non esiste un vero e proprio mercato fisico del gas e, quindi, non c’è un prezzo di mercato trasparente ed affidabile. Ci fa comodo il TTF perché consente di mettere in essere una politica di prezzo a tutela di tutti i venditori di gas al dettaglio. Sono tutti garantiti, anche se non comprano nemmeno un metro cubo di gas fisico sul mercato internazionale. Il mercato dell’energia è incistato da numerosi intermediari che non producono, né consumano energia, ma si limitano a fare i traders di fatture a monte del contatore del consumatore. E sono tutti protetti da questo sistema di “mercato libero”.
In queste ultimi giorni le quotazioni del gas in Europa, misurate dall’andamento del TTF, hanno toccato 50€/MWh, tra i prezzi più alti degli ultimi due anni. Eppure, gli operatori osservano che, controintuitivamente, per il 2025 il periodo a rischio più elevato di forte aumento dei prezzi del gas è atteso nella prossima estate. È plausibile?
Sì. Se l’inverno sarà rigido e non ci sarà soluzione alla crisi ucraina, sarà difficile riempire gli stoccaggi durante l’estate. I rifornimenti di GNL non saranno sufficienti e comunque il prezzo sarà molto alto, perché ogni carico di GNL sarà venduto all’asta in concorrenza con i compratori del Far East, che normalmente pagano molto più di noi. Ci era stato detto che avremmo sostituito il gas russo con quello africano, ma, come era noto agli esperti, di questo gas non si è visto e non si vedrà nemmeno un metro cubo. L’unico aiuto è venuto dall’Algeria, che aveva fermato gli impianti di liquefazione e bloccato le vendite di GNL verso il Far East, per alimentare il gasdotto che attraverso la Sicilia porta il gas in Italia. Ma si è trattato di un aiuto una tantum e ovviamente a un prezzo almeno pari a quello del GNL in Far East. A Draghi, gli algerini hanno spiegato che c’era bisogno che l’Eni investisse per fare nuove scoperte di gas nel Sahara. Si tratta di progetti di medio-lungo periodo che richiedono risorse finanziarie ingenti. Sicuramente non si tratta di soluzioni per l’estate prossima. Il rischio comunque non è solo il 2025, ma tutti gli anni a partire dal 2025, con un crescendo di preoccupazione.
Il GNL è ormai predominante nelle forniture di gas per l’Europa. Se all’Henry Hub americano il carico di gas si paga a 9-10 €/MWh, aggiungendo anche i costi di trasporto, trasformazione, un margine di profitto, ecc. si arriva a 20-25€ €/MWh, mentre in Europa viene negoziato al doppio. Non sarebbe opportuno che l’Ue si dotasse di uno strumento di acquisto comune?
Ripeto. Basterebbe abbandonare il TTF e usare come riferimento un indice basato sulla media pesata dei prezzi dei carichi importati in Europa. L’Henry Hub è un indicatore trasparente basato sul prezzo dei carichi fisici venduti ogni giorno al Terminale di Erath in Louisiana. Dovrebbe essere usato come il “tetto” dei prezzi del gas in Europa. Prezzi superiore a questo tetto devono essere definiti speculativi senza supporto nel rapporto domanda/offerta.
L’Italia dovrebbe puntare ad aumentare le estrazioni proprie. È stato modificato il quadro regolatorio anche se difficilmente si tornerà ai 21 miliardi di metri cubi di 20 anni fa. Quali sono le prospettive per il futuro?
Purtroppo, la ricerca nell’Adriatico si è fermata e mancano le condizioni perché si riparta. Le riserve di gas ci sono e, secondo INGV, sono anche importanti. La Croazia ne sta godendo. La convinzione diffusa che fra il 2025 e il 2050 dovranno scomparire le fonti fossili ha già prodotto e produrrà ancora di più danni enormi alla nostra economia. Di sicuro arriveremo al 2050 indifesi e senza flussi di approvvigionamento sicuri e continui e dovremmo procurarci petrolio e gas sui mercati marginali e occasionali pagando un occhio della testa. Se già oggi l’energia in Italia costa quasi il doppio degli altri Paesi industrializzati, vedremo questo gap raggiungere livelli pesantissimi. La nostra competitività si ridurrà in modo drammatico.
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