CGIL Sicilia al centro di uno scandalo: milioni scomparsi, audit interni ignorati e dirigenti coinvolti, svelati da "Lo Stato delle Cose" su Rai3

Nel programma Lo Stato delle Cose, andato in onda su Rai 3 il 5 maggio, il giornalista Alessio Lasta ha raccontato una vicenda che fa tremare – nel silenzio generale – la CGIL Sicilia: uno dei sindacati più radicati nell’isola si trova a dover fare i conti con un buco da milioni di euro, un patronato in crisi e un passato recente fatto di scarsa trasparenza e troppe omissioni.



Giuseppe La Loggia (responsabile regionale del patronato INCA) in occasione del 1 maggio a Casteldaccia per commemorare 5 operai morti sul lavoro, tenta di divincolarsi pur di non rispondere alle domande dell’inviato riguardo le criticità di un meccanismo inceppato, lasciato andare alla deriva tra conti che non tornano, controlli mancati, stipendi da saldare e pratiche inevase e a farne le spese – come spesso accade – sono i cittadini più fragili: anziani, disoccupati, famiglie intere che al patronato si erano rivolte per farsi aiutare.



La crisi non è solo economica, ma prima di tutto etica: quando chi dovrebbe difendere i diritti lavora con leggerezza – o peggio, con opacità – il danno è doppio e non si perdono solo soldi ma fiducia, e quella non si ricostruisce con una conferenza stampa o con un bilancio rivisitato ma nonostante ciò, dai vertici del sindacato arriva solo un’ammissione generica – si parla di “problemi gestionali” e si promettono “verifiche” giustificando il tutto con un’istanza di fallimento senza mai andare al cuore della questione: chi ha sbagliato, come è stato possibile un dissesto così profondo – e soprattutto –perché nessuno se n’è accorto per tempo.



CGIL Sicilia e l’inchiesta de Lo Stato delle Cose: la crisi che riapre il dibattito sul ruolo dei sindacati

L’inchiesta de Lo Stato delle Cose ha rivelato un buco di più di 6.191.000 di euro, emerso da un’indagine interna avviata a fine 2024, un deficit che rischia di travolgere non solo il bilancio, ma la stessa fiducia in un’istituzione storica, nata nel 1944 per tutelare i diritti dei più deboli e la crisi finanziaria sarebbe il risultato di anni di malgestione, tra progetti incompiuti, costi di struttura fuori controllo e opacità nella rendicontazione.

Tra i capitoli più controversi, spiccano i milioni destinati a corsi di formazione mai avviati e per affitti di sedi fantasma; inoltre, dai documenti si evince che tra il 2020 e il 2023 buona parte delle risorse europee del FSE (Fondo Sociale Europeo) non è stato tracciata e intanto, i dipendenti denunciano ritardi negli stipendi e tagli ai servizi di assistenza legale.

Mentre dentro il sindacato esplode la crisi, fuori la CGIL Sicilia prende posizione su un altro tema scottante, cioè quello delle opere pubbliche ferme, mai realizzate o lasciate a metà e secondo il sindacato, sono 268 i cantieri che non partono, per un totale di 30 miliardi bloccati – tra ferrovie dimenticate, collegamenti locali assenti, lavori iniziati e mai finiti – un disastro infrastrutturale che riflette l’eterna condizione di attesa della Sicilia.

Il segretario Alfio Mannino denuncia un isolamento strutturale dell’isola e chiede un accordo quadro con Anas e RFI, per coordinare investimenti, avviare progettazioni vere, creare occupazione, ma c’è un problema – evidente – e forse imbarazzante: come può un sindacato parlare di rilancio, sviluppo, trasparenza se nella propria casa regna il caos contabile e il silenzio istituzionale?

La denuncia esterna stride con l’inerzia interna perché prima di chiedere pulizia nelle scelte infrastrutturali, bisognerebbe garantire pulizia nei propri conti, nelle proprie strutture, nella propria credibilità; l’inchiesta de Lo Stato delle Cose ha chiaramente mostrato quanto ancora manchi un’assunzione di responsabilità chiara, netta e senza alibi.