Prima dell’apparato tecnologico e della spesso straripante vena artistica e creativa, i film Pixar hanno costruito la loro fortuna, la loro bellezza e il loro apprezzamento praticamente unanime al tavolo della scrittura: la sapiente miscela di elementi profondi e accattivanti, i personaggi adorabili e strutture narrative complesse, temi forti e straordinarie trovate di sceneggiatura. Sorprende e dispiace quindi che nel caso di Alla ricerca di Dory, sequel di Alla ricerca di Nemo diretto dallo stesso regista dell’originale Andrew Stanton, proprio la scrittura sia l’elemento debole che inficia tutta la riuscita del film.
Nel film Dory, la smemorata pesciolina blu che aiutava Marlin a ritrovare il figlio, comincia ad avere dei ricordi folgoranti dei propri genitori, uno dei quali le rivela che lei è sparita da piccola e dei genitori non ha più traccia. Così intraprende un’avventura tra mari e città per ritrovarli e provare a recuperare il tempo perso.
Il regista e Victoria Strouse hanno raccolto lo schema del film originale e hanno messo in pratica la regola d’oro dei sequel hollywoodiani: aumentare le dosi mantenendo la ricetta identica. Per cui ci troviamo di fronte a un’avventura per un target poco più che infantile, ricca di elementi comici, buoni sentimenti, morali della favola e lunghe sequenze avventurose di impatto spettacolare.
In pratica, uno dei più convenzionalmente disneyani – vecchio stile, per intenderci – dei film Pixar. E ovviamente non è affatto un male di per sé, fatta la tara all’aver rinunciato a porzioni di originalità registica e di invenzioni filmiche (ma anche l’originale è tra i meno creativi film della casa produttrice); delude però proprio l’approccio al racconto, di solito così efficace, ambizioso e travolgente – basti pensare che le sceneggiature Pixar hanno raccolto ben 8 nomination agli Oscar – e qui invece molto poco curato e creativo. Ogni passaggio, svolta, percorso è vecchio, abusato o semplicemente appiccicato per suscitare facile emozione e di questo ne risente anche la regia di Stanton, che tranne in un paio di flashback non riesce a rendere il gusto dell’avventura, l’atmosfera malinconica, il racconto di formazione per adulti.
Restano la perfezione tecnica e dell’animazione – senza però vere sorprese – e la simpatia incredibile dei personaggi, su tutti il mimetico polpo Hank, a salvare il film, a farlo piacere ai bambini e ai loro accompagnatori, a garantire un successo sicuro; ma l’idea di una Maserati costretta ad andare su oppressivi binari è la sensazione meno piacevole di un film che si limita a centrare gli obiettivi basici del proprio programma e si accontenta di lasciare un sorriso sulle labbra dello spettatore, anziché un’espressione di meraviglia.