Per fortuna esiste ancora un sindacato che – diversamente da Confederazioni già consorelle immischiate con la propaganda politica – svolge il suo mestiere e che ne valorizza i risultati: la Cisl. La confederazione di via Po ha pubblicato di recente un Report sul lavoro nel primo semestre dell’anno in corso. Quanto ai dati di carattere generale, l’occupazione nel secondo trimestre del 2024 ha continuato a crescere; rispetto al trimestre immediatamente precedente, gli occupati aumentano di 124 mila unità (+0,5%), arrivando a un numero complessivo di 23.940.000, oramai ben al di sopra dei valori pre-Covid (a fine 2019 erano 23.381.000), con una crescita che riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (+141 mila, +0,9%) e gli indipendenti (+38 mila, +0,7%), più che compensando la diminuzione dei dipendenti a termine (-55 mila, -1,9%). Ma il Report consente degli approfondimenti specifici relativi ad alcuni aspetti sui quali si accanisce la narrazione sfascita secondo la quale nel mercato del lavoro italiano “dilaga la precarietà”.
È cruciale in questo dibattito l’evoluzione tra i contratti a tempo indeterminato e quelli a termine, la cui normativa sarà sottoposta a referendum abrogativo se dalla Consulta verrà il via libera ai quesiti proposti dalla Cgil. Rispetto al secondo trimestre del 2023, l’occupazione cresce di 329 mila unità, pari all’1,4% in un anno, mentre nel 2019, subito prima del Covid, cresceva a un ritmo inferiore all’1% annuo. Il Report analizza questi trend in via di consolidamento.
Negli ultimi anni è cambiato il rapporto tra occupazione a tempo indeterminato e a termine. Prosegue, dalla metà del 2022, il trend di crescita dell’occupazione stabile e di riduzione dell’occupazione a termine: confrontando i dati di trimestri corrispondenti, si vede che l’incidenza, calcolata dall’Istat, degli occupati a termine sul totale degli occupati aveva raggiunto, nel secondo trimestre del 2022, il suo massimo pari al 13,7%, per poi scendere, nel secondo trimestre del 2023, al 13%, e nel secondo trimestre trimestre 2024 al 12%. In particolare, nel secondo trimestre 2024 tra i dipendenti crescono del 3,3% i permanenti e calano del 6,7% quelli a termine.
Secondo la Cisl, il fenomeno è dovuto in primo luogo alla correlazione tra assunzioni a termine e ciclo economico: le assunzioni a termine crescono nelle prime fasi di ripresa dopo un periodo di crisi, ma poi rallentano quando la ripresa si consolida e le aziende hanno le condizioni per trasformare i contratti a termine in contratti a tempo indeterminato oppure per riprendere ad assumere direttamente a tempo indeterminato. Ma secondo i principali osservatori, giocano un ruolo sempre più significativo anche le serissime difficoltà, per le aziende, nel trovare il personale, scenario che cambia i rapporti negoziali e spinge le aziende a offrire contratti a tempo indeterminato come fattore di attrattività e di legame all’azienda stessa.
Benché la prima assunzione continui ad avvenire, nella gran parte dei casi, con contratti temporanei (è l’argomento a cui si attacca Maurizio Landini), aumentano in quest’ottica le trasformazioni a tempo indeterminato. I dati Inps disponibili sono aggiornati al primo semestre del 2024 e da questi si nota come l’andamento delle trasformazioni è sostanzialmente in linea (con un leggero calo) con quello dei primi sei mesi del 2023. Lo confermano i dati del Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie, pubblicato lo scorso mese di giugno, secondo il quale, dopo il notevole calo avvenuto nel 2020, le trasformazioni iniziano a risalire nel 2021, raggiungendo 532 mila unità. Nel 2022 la crescita prosegue in modo significativo, portando il numero di trasformazioni a superare la soglia delle 700 mila unità, attestandosi a quota 720 mila (+35,3%), oltrepassando così anche il livello precedente la pandemia. Nel 2023 la crescita si rinforza ulteriormente facendo registrare 749 mila trasformazioni (pari a +4,0%). In tal modo si comprende come, nonostante la prima assunzione continui ad avvenire con rapporti non stabili, la quota di lavoro a termine sul totale si vada riducendo per i motivi che sono stati già anticipati.
Il buon andamento del mercato del lavoro si riflette anche nel calo dell’occupazione part-time (-143 mila,-3,4%), più che compensata dalla crescita degli occupati a tempo pieno (+472 mila, +2,4%), Anche tale dato – secondo il Report – è interpretabile come reazione da parte delle aziende allo skill shortage. Resta, in ogni caso, fermo il dato che vede un’incidenza del lavoro part-time molto maggiore tra le donne che tra gli uomini (30,1% contro 7%, tabella n.7), part-time in gran parte involontario, o comunque necessario per conciliare vita e lavoro, circostanza che costituisce una delle principali cause dei divari retributivi di genere.
Resta invece la criticità legata all’elevata quota di contratti di durata molto breve. Infatti, è ormai un trend assodato quello che vede, tra gli oltre 12 milioni di cessazioni di rapporto di lavoro, oltre un terzo con durata inferiore a 30 giorni e solo il 16% con oltre un anno di durata (quest’ultimo dato è spiegabile se si pensa che la normativa richiede una causale per superare i 12 mesi). Occorrerebbe indagare quanta parte di questi contratti così brevi è fisiologica e, in quanto tale ineliminabile, perché legata a esigenze di settori specifici, e se c’è invece una parte collegata a comportamenti opportunistici ed elusivi di alcune aziende, come i numeri fanno immaginare, generando così una vera sacca di precarietà lavorativa su cui sarebbe necessario intervenire.
Va segnalato un aumento degli inattivi di 32mila unità (+0,3%) tra il primo e il secondo trimestre del 2024 che sembra erodere l’intera riduzione avvenuta nell’ultimo anno, pari esattamente a 32 mila unità (-0,3%), rallentando il trend che si era osservato negli ultimi anni. Si riducono in particolare gli scoraggiati e gli inattivi per motivi familiari, suggerendo che potrebbe trattarsi soprattutto di donne che hanno iniziato a cercare lavoro incoraggiate dal buon andamento del mercato, mentre aumentano gli inattivi per motivi di studio o perché in attesa degli esiti di passate azioni di ricerca di lavoro. La riduzione dell’inattività riguarda gli over 35, a fronte di un aumento dell’inattività per i giovani di 15-34 anni, che si colloca ancora ai primi posti in Europa.
Continua anche la ripresa degli autonomi che, dopo il crollo avvenuto con il Covid, hanno iniziato a crescere solo a fine 2023. Nel secondo trimestre del 2024 raggiungono la quota di 5.090.000, ancora lontani dal livello pre-Covid (i lavoratori indipendenti erano 5.273.000 nell’ultimo trimestre del 2019).
Benché non abbiamo elementi statistici che consentano di verificare se tale ripresa sia avvenuta a discapito del lavoro subordinato, è legittimo il sospetto che parte della ripresa degli autonomi possa essere dovuta alla cosiddetta “flat tax”, introdotta da qualche anno, ma resa ancora più conveniente a partire dal 2023, elemento che potrebbe avere spinto diversi giovani ad aprire la partita Iva in sostituzione di lavoro subordinato, specie in settori dove la remunerazione è sottodimensionata rispetto all’impegno e al carico di lavoro richiesti (per esempio, nella professione infermieristica). Se così fosse, parte dell’aumento dell’occupazione tra i lavoratori indipendenti sarebbe ascrivibile a casi di falso lavoro autonomo, fenomeno che negli ultimi anni era andato verso una riduzione grazie all’azione combinata della legislazione e della contrattazione. Un’ulteriore possibile spiegazione è legata alla volontà di lavoratori con competenze tecniche utili alle imprese di mettersi in proprio offrendo servizi di consulenza (su tematiche che vanno dal digitale all’internazionalizzazione).
Concludendo, secondo il Report della Cisl, quello che è cambiato negli ultimi anni è il rapporto tra occupazione a tempo indeterminato e a termine, fenomeno dovuto in parte significativa, secondo i principali osservatori, alle difficoltà, per le aziende, a trovare il personale, scenario che cambia i rapporti negoziali e spinge le aziende ad offrire contratti a tempo indeterminato come fattore di attrattività, anche se la prima assunzione continua ad avvenire spesso con contratti a a tempo. Si continua quindi a registrare da oltre due anni una progressiva riduzione della quota dei contratti temporanei sul totale. Proprio per questo si può affermare che la paventata/pretesa precarizzazione del lavoro non c’è stata. Sembra anche interrotto il declino del lavoro autonomo, che da alcuni mesi è in ripresa (sia pure con i caveat di cui abbiamo parlato). A fronte di questo scenario non si comprende – scrive la Cisl -, se non in chiave meramente ideologica e politica, la scelta della Cgil, a cui hanno aderito i principali partiti di opposizione, di promuovere un referendum contro il Jobs Act e contro la normativa sui contratti a termine.
Occorre semmai porre l’attenzione – secondo il Report – su alcuni paradossi del mercato del lavoro in questa fase di grande crescita: occupazione (che cresce più del Pil); incremento dei livelli di cassa integrazione; abbassamento delle ore lavorate per dipendente; aziende produttive e innovative che soffrono la carenza di personale qualificato che purtroppo convivono con aziende che non offrono adeguate condizioni di lavoro e retributive; giovani e donne che preferiscono restare inattivi a fronte di tali condizioni retributive inadeguate, ma che contemporaneamente non possono aspirare a condizioni migliori perché non in possesso delle competenze richieste; retribuzioni che tornano a crescere significativamente grazie anche all’ultima tornata di rinnovi contrattuali che ha consentito, nella prima metà del 2024, una crescita della retribuzione oraria media del 3,1% rispetto allo stesso periodo del 2023. È uno scenario complesso, nel quale l’invecchiamento demografico sarà uno dei fattori più rilevanti nell’intensificare le criticità nel mercato del lavoro, dal momento che porterà non soltanto a un aumento dei flussi pensionistici – e di conseguenza delle uscite dal mercato del lavoro -, ma anche a una sensibile riduzione del numero di giovani in ingresso nelle forze lavoro.
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