COVID E CO2/ Troppo lockdown ci toglie ossigeno (e inquina di più)
Nonostante quel che comunemente si pensa, le misure di lockdown non aiutano l’ambiente e finiscono anche per peggiorare la salute mentale

La pandemia globale, rallentando le attività umane per molti mesi, ha rallentato la produzione di inquinamento? Gli scenari sul clima non promettono bene e l’argomento che fino all’inizio del 2020 era onnipresente, in tv e nei rotocalchi, nelle pubblicità e nelle fiction è entrato anch’esso in uno stato di lockdown mediatico, messo in ombra dalla pandemia e dalle sue infinite implicazioni. Tuttavia, una gran parte della popolazione, più interessata ai temi ambientali, è frustrata dall’apparente mancanza di progressi compiuti finora.
Molti speravano che l’Accordo di Parigi del 2015, che pone dei limiti restrittivi all’emissione di CO2 e fissa in 1,5° l’aumento medio della temperatura terrestre rispetto all’età preindustriale, avrebbe inaugurato una svolta indispensabile per la legislazione globale sul clima. Successivamente, la Conferenza sul Clima COP 24 di Katowice, nel 2018, ha stabilito un “Rule Book”, un libro guida per attuare i principi dell’accordo, e questo è entrato in vigore proprio nel 2020. Tuttavia si registra una generale inazione della politica. Dovuta anche al nuovo quadro pandemico globale che, tra l’altro, ha causato lo spostamento di un anno del Cop 26 di Glasgow, al novembre 2021.
Nonostante la voce ricorrente, che attribuisce al lockdown un effetto positivo sulla qualità dell’aria, una recente ricerca del World Economic Forum dimostra che se è vero che proprio nei mesi del lockdown l’emissione di CO2 è diminuita, secondo alcune stime, dell’8% circa, nel contempo è più che centuplicato il consumo di disinfettanti, decuplicato il consumo di detergenti per l’igiene personale (saponi), quadruplicato il consumo di oggetti monouso (in particolare mascherine). Si stima che la produzione di rifiuti urbani solidi non riciclabili sia cresciuta complessivamente del 40%. E l’elenco potrebbe continuare.
Il quadro ambientale globale si è quindi ulteriormente deteriorato. Così che sempre il World Economic Forum considera inevitabile un “Grande Reset”, una riscrittura radicale di tutto il sistema economico e produttivo mondiale. Qui portiamo l’attenzione su un aspetto specifico, tra i tantissimi: le conseguenze sull’uomo di una alta concentrazione di CO2 nell’aria che respiriamo.
James Bridle, artista, scrittore e divulgatore scientifico per la Bbc, nel suo libro Nuova Era Oscura riporta alcuni dati molto significativi. Nel 2015, per la prima volta in almeno 800.000 anni, l’anidride carbonica nell’atmosfera ha superato le 400 ppm. A un simile ritmo – che non mostra cenni di rallentamento – la CO2 atmosferica supererà 1000 ppm entro la fine del secolo. A 1000 ppm, le capacità cognitive umane diminuiscono di oltre il 20%. A concentrazioni più alte, la CO2 impedisce di pensare lucidamente. Oggi, fuori dalle abitazioni, la CO2 raggiunge già regolarmente le 500 ppm nelle città industriali e all’interno di abitazioni poco ventilate, oppure in scuole e luoghi di lavoro può superare normalmente 1000 ppm. Nelle nostre abitazioni, oggi adattate a ristoranti-scuole-negozi-uffici-set televisivi per call di lavoro, supera normalmente le 2000 ppm.
L’anidride carbonica annebbia la mente: va a deteriorare direttamente la capacità di pensare in modo ordinato. La crisi pandemica si aggiunge a quella ambientale ed è quindi anche una crisi della mente, del pensiero, una crisi della capacità di immaginare un modo di stare al mondo, e di progettare un futuro. E alimenta una altra tendenza: la crescita drammatica di disturbi depressivi e del comportamento, che colpisce con maggiore incidenza le nuove generazioni, i giovanissimi, proprio colori ai quali il futuro è affidato.
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