La produzione industriale in Italia in calo è la spia di una crisi riconducibile, oltre che alle nostre tare ereditarie, agli sbagli politici di Bruxelles
Leggendo i dati negativi della produzione industriale italiana a dicembre, come riporta l’Istat verrebbe da dire “chi è causa del suo mal pianga se stesso”. A dicembre 2024, infatti, si stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca del 3,1% rispetto a novembre. Nella media del quarto trimestre il livello della produzione si riduce dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti. L’indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per l’energia (+0,9%); mentre cala per i beni strumentali, i beni di consumo (-3,3% per entrambi i settori) e i beni intermedi (-3,6%).
L’industria va male ovunque, l’energia cresce solo perché l’inverno è stato più freddo. Non si consuma, non si produce, non si investe. Flessioni particolarmente marcate si rilevano nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-23,6%), nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-18,3%) e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-14,6%). Si tratta dei settori in cui l’Italia era tradizionalmente forte e che ora sono in profonda crisi.
Oltre la cronaca, per le soluzioni, brevemente possiamo ricordare le pesanti crisi petrolifere degli anni 70, molto simili a questa, con il prezzo del petrolio triplicato. E conseguente grave crisi economica e picco di inflazione che pose fine ai miracoli economici del dopoguerra. Da quella crisi uscimmo grazie all’innovazione e alle dinamiche di mercato, e una generale reazione positiva dell’economia, anche senza l’intervento dello Stato. Intervento statale che molti ora chiedono a gran voce, sulla strada del protezionismo economico, che può rivelarsi insidiosa. Le imprese virtuose, quelle che ci riescono, dovrebbero rimboccarsi le maniche sulla via di nuove soluzioni, risparmi, razionalizzazioni.
Per definire le cause che comunque insistono dopo il trauma di una grave pandemia, appesantito dalla guerra Ucraina, i più darebbero subito la colpa all’Europa. E in parte questo è vero, per via delle regole economiche dell’euro, che insieme all’evasione fiscale, alla corruzione, alla burocrazia infame, al divario Nord-Sud e al declino demografico, all’immigrazione incontrollata, costituiscono il cuore dei nostri problemi nazionali. Oggi l’Europa pretende di regolare ogni minima attività locale, senza alcun interesse continentale, dimenticando le questioni da affrontare per dare all’Unione la rilevanza che le spetterebbe a livello mondiale.
L’Europa sta trascurando o mal considerando le tre tematiche che definiscono l’esistenza delle entità politiche: l’energia, la difesa e la moneta. Non a caso l’America ha sostituito la Gran Bretagna al vertice, quando l’economia petrolifera ha sostituito quella carbonifera. La Gran Bretagna non è riuscita più a sostenere le spese militari e le navi USA hanno soppiantato le cannoniere inglesi nel mondo.
La convertibilità in oro del dollaro con gli accordi di Bretton Woods ha permesso di sostituire la sterlina negli scambi internazionali. L’Europa, quando si è dotata di una moneta unica, l’ha limitata a guardiano dell’inflazione, negando alla BCE la valenza economica e finanziaria della Federal Reserve USA. L’idea che l’Europa potesse irradiare la sua influenza nel mondo solo con la democrazia, lo stato di diritto e il benessere economico ha portato all’idea di pace unilaterale dove i missili erano oltre cortina e i pacifisti erano da noi. E riparandosi sotto l’ombrello nucleare USA pensando che fosse gratuito. Ma come diceva Milton Friedman, “Nessun pasto è gratis”. Questo ci nega la parte di attori protagonisti sulla scena mondiale.
Volendo focalizzarci sull’energia, essenziale per l’industria, questo tema è emblematico in Europa della commistione tra politica ed economia, che ha provocato con anni di decisioni sbagliate una crisi che sta mettendo in ginocchio l’economia del continente. L’Europa credeva di avanzare verso un futuro green delegando il lavoro sporco dell’estrazione del gas alla Russia, mentre smetteva di investire sull’estrazione nei giacimenti europei. Non ci siamo resi conto del baratro in cui stiamo cadendo, visto che lo sviluppo tecnologico delle energie rinnovabili non ci permette al momento di abbandonare le energie fossili, di cui il gas è la meno problematica.
Infine un malinteso senso dell’ambientalismo ha bloccato anche il nucleare. Abbiamo ancora buone possibilità di sviluppo, ma il calo della produzione industriale è solo la spia di un futuro di decadenza che ci aspetta. Non lo sottovalutiamo.
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