Leggiamo su La Repubblica del 19 febbraio 2011, un articolo del prof. Umberto Veronesi, intitolato “Una pillola sconosciuta”, in cui si parla delle doti dell’anticoncezionale orale, anche ai fini di prevenzione del cancro dell’ovaio: “Le ragazze che si affacciano alla sessualità e le adulte che hanno vissuto la cosiddetta rivoluzione sessuale non sanno che la pillola non ha nessuna controindicazione per la loro salute, che non aumenta il rischio di tumore del seno, e ignorano che le protegge dall’altro temibile tumore femminile, quello dell’ovaio”.
E spiega che “in Italia la pillola è stata ostracizzata. L’hanno fatto i misogini, perché la pillola è uno strumento offerto dalla scienza alla donna per sottrarsi a un asservimento millenario al maschio. […] La pillola va favorita, le sue proprietà anticancro vanno ben spiegate e il preservativo […] deve essere considerato un elemento integrante del rituale del rapporto sessuale”. Ciò detto, ci lascia un po’ perplessi leggere addirittura sul sito del Feminist Women Health Center – certo non ostile agli anticoncezionali- che tra gli svantaggi della pillola c’è un “aumentato rischio di attacco cardiaco e di ictus” e sul sito del National Cancer Institute che, certo, la pillola diminuisce il rischio di cancro dell’ovaio e dell’endometrio, ma aumenterebbe il rischio di cancro della cervice uterina e in particolare di cancro del fegato. Dunque, qualche problema c’è e non solo di ordine morale.
Ci sembra allora opportuno consigliare prudenza: d’altronde si tratta di autosomministrarsi ormoni per anni e anni, e questo è un livello di medicalizzazione estremamente forte. È possibile che l’unica via per vivere una vita sessuale armonica sia quella medica? E non sarà eccessivo pensare il preservativo come parte integrante del rapporto sessuale, che – magari- spesso avviene in coppie stabili, rispettose della parola datasi, e magari (perché no?) aperte alla vita? Quello che non ci va giù degli anticoncezionali, mettendo un momento da parte i criteri morali che ognuno (ateo, ebreo, musulmano, cristiano, buddista) può avere, è che quando si parla di sesso si parla solo di loro. Come se parlare di sesso fosse parlare di come non aver figli.
Insomma, viviamo in una società in cui i tabù si sono invertiti: tutto il sesso che volete, ma per carità, niente bambini; a meno che non abbiate già un lavoro stabile, una casa, un reddito alto, e la certezza di farne solo uno, massimo due (“che carini! Avete fatto la coppia”, come se si parlasse di cagnolini), altrimenti vi prendono per matti. E non venite a dire che questo dipende dalla società dura e cattiva, perché se vi guardate davvero intorno, anche chi è ricco, potente, con ville e auto lussuose, più di uno-due figli non ne fa; allora il problema non è economico (che andrebbe comunque risolto), ma culturale: è una politica del figlio unico di stato come in Cina, solo che lì la impongono le leggi, qui gli sguardi dei vicini.
Oggi lo sappiamo tutti, il problema non è fare troppi figli, ma che non se ne fanno più e si assiste a un decremento demografico angosciante: niente più bambini nelle strade, niente più giovani al lavoro, ma tanti anziani che non hanno più chi li assiste e adulti che dovranno lavorare all’infinito per pagarsi una pensione.
Non si tratta certo di far figli per motivi economici, ma riprendiamo a leggere nel cuore della gente, che secondo l’Istat a 15 anni vorrebbe una famiglia numerosa e a 30 a stento ha il coraggio e il modo di fare un figlio! L’educazione sessuale che vorremmo dovrebbe essere più che un deterrente verso l’idea di avere un figlio, come ha ben spiegato di recente il Papa, e per questo dobbiamo impegnarci.