La cosa più bella del mondo è la ricerca scientifica. L’altra cosa bella è che la ricerca scientifica abbia dei paletti da non oltrepassare, non messi da un singolo individuo o sistema di pensiero, ma dalla comunità scientifica stessa. La dichiarazione di Helsinki del 1964 è la Magna Charta della sperimentazione scientifica e dei suoi limiti; e gli scienziati sono ben contenti di seguirli.
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Insomma, non credete a chi dice che la scienza non deve avere limiti o legacci. Tutto questo lo scriviamo a proposito della caduta dei limiti alla sperimentazione sugli embrioni umani annunciato dalla Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea), l’ente britannico responsabile degli studi sulla fertilità e sugli embrioni. Lo scopo è quello di trovare delle cure di anomalie cromosomiche; se lo scopo è buono, il mezzo deve comunque tener conto di un fatto basilare: il principio di precauzione, sancito nel 1992 a Rio de Janeiro dalla Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite. In pratica questo principio afferma che ci vuole cautela nell’introdurre nuove tecniche o terapie per la popolazione, e che questa cautela richiede la ragionevole certezza che la novità da introdurre non noccia a nessuno.
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Ora, nel caso della sperimentazione sugli embrioni, da molte parti si sollevano dubbi e perplessità, che a logica dovrebbero scomparire prima di permettere una nuova sperimentazione: non ultimo quella sullo status morale dell’embrione (è un essere umano seppur iniziale, come molti sostengono e dunque non è materiale di studio scartabile) e sullo scenario dell’eugenetica da un lato e della clonazione riproduttiva dall’altro, che la sperimentazione sugli embrioni potrebbe invogliare a intraprendere. La rivista Life Science Society and Policy di dicembre riporta il dibattito in corso in Giappone sulla creazione di chimere uomo-animale; la rivista Nature dell’8 dicembre riporta che in un imponente meeting a Washington con 500 scienziati venuti da 20 nazioni non si è trovato un consenso unanime per l’uso dell’ingegneria genetica sugli embrioni umani, pur trovando un consenso sull’uso di questa tecnica nel soggetto già nato. Le obiezioni riguardano il futuro impiego: le useranno solo i ricchi? Che conseguenze a lungo termine avrà nelle generazioni future una manipolazione seppur fatta a fin di bene ma di cui non si possono prevedere i risultati trans-generazionali, se non stando a vedere se le future generazioni ne risentiranno?
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Come si vede, non sono problemi metafisici, religiosi, dittatoriali, ma di semplice buonsenso. Che gettano luce su un’ultima domanda: in un’epoca di ristrettezze, è corretto destinare ingenti fondi ad una ricerca affascinante, non da tutti condivisa, di esito insicuro e probabilmente a vantaggio di chi se la potrà permettere economicamente, piuttosto che alle nuove terapie o alla diffusione di quelle ben studiate ed esistenti per malattie che falcidiano la popolazione (povera) quali la tubercolosi e la malaria, ma siccome non riguardano i paesi ricchi appaiono di priorità secondaria?
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