17ENNE STRUPRATA A BOLOGNA/ “Io, prete, condanno il post lurido di don Guidotti, ma lo ringrazio”

- Marco Pozza

Le parole di don Lorenzo Guidotti hanno ferito i credenti e scatenato le polemiche di chi non esita ad attaccare la Chiesa? Ma qual è la colpa più grande di un sacerdote? MARCO POZZA

sondaggi politici (LaPresse)

E’ assediato dappertutto don Lorenzo Guidotti, il parroco di Bologna autore di un infelice post in merito alla vicenda di una ragazza che ha sporto denuncia per violenza sessuale. Il concetto è da pelle d’oca, lo stile da scaricatore di porto. Certo, anche un sacerdote fa la pipì: elegante quel sacerdote che, com’è dell’uomo, fa la pipì dentro il water. Accortosi, ha corretto il tiro. Il web, però, non conosce misericordia: una volta che gli affidi una parola, lui moltiplica per x che tende all’infinito. La parola, che nasce per essere letta e ascoltata, viene fotografata. Anche se la memoria dimentica e l’autore cancella, rimane la foto. Dannazione eterna è lo screenshot di una schermata. Una foto lapide.

Lo condannano quasi tutti, pur sapendo che ha dato voce alla pancia della gente: “Guarda chi frequenta, hai visto quanto beve, osserva come va vestita: ha il coraggio di lamentarsi?”. Penso a lui e, pur infastidito assai, sento l’obbligo di dirgli grazie. Non per la stupidità ma perché, essendo lui sacerdote, la Grazia è riuscita a stare in piedi dentro la vergogna di quel post. Insudiciata, si è celata nella profondità di una domanda: “Ma dovrei provare pietà? No!” Che, tradotto, vale l’eterna domanda che abita il cuore del sacerdote: “Perché dovrei provare pietà per te, che sei una peccatrice?”.

E’ pazzesco Dio: anche quando il prete, che è Dio-in-miniatura, s’allontana dalla sua chiamata, non perde l’ispirazione di Dio: riesce a dire cose maestose, a pronunciare domande ultime, pure senza la volontà di farlo. Dunque devo un grazie a questo sacerdote per avermi dato una possibilità gigantesca: quella di celebrare messa avvertendo la pelle d’oca nella mia anima. Ho iniziato l’eucaristia con l’eco addosso – “Perché dovrei provare pietà per te” – e subito la liturgia mi ha condannato all’evidenza, invitandomi alla pronuncia di un’orazione stupefacente: “Pietà di noi, Signore, (perché) contro te abbiamo peccato”. L’avevo pronunciata a vanvera per un’iradiddìo di volte, ogni volta che celebro la messa. Stavolta, però, quell’orazione era l’evidente risposta a quella domanda del post: “Perché dovresti avere pietà? Perché io ho pietà di te, ogni giorno”. Parole chiare, chiare lettere: abbiamo conti in sospeso con Dio.

Non si celebra messa senza pietà: arrischiarsi a farlo, è come per uno che è allergico al pomodoro ordinare una pizza margherita, chiedendo del sugo al pomodoro in aggiunta. “Signore, pietà. Cristo, pietà. Signore, pietà”: cisterne di pietà chiede il sacerdote all’inizio dell’eucaristia. Cristo gliela concede: è credito di restituzione! 

Quella ragazza può aver bevuto, aver addosso vestiti succinti, le sue amicizie possono essere le più sgarbate: anche un prete, pur sapendo la faccia di Satana, ogni tanto ama frequentarla, stuzzicarla, provocarla. Non per questo Dio gli nega la salvezza. Anzi, più cade più s’innamora dell’uomo. Pietà, dunque, per il più semplice dei fatti: senza pietà – è il vangelo di Anchise, figlio di Enea, ancor prima dell’avvento di Cristo – l’uomo e la donna non si riuscirà a capirli, ad intravederli nelle loro misere storture. L’originalità del cristianesimo è tutta qui: non capire per amare, ma amare per capire. “Ti amo, brutta come sei, perché sogno di renderti più bella”. Che, a pensarci, è quello che si ostina a fare Cristo coi suoi preti, con me: “Sei una frana, don Marco, ma io ho tanta pietà di te: ti voglio mio a tutti i costi, costi quel che costi”. Perché dovrei provare pietà per quella ragazza? Perché Dio ha pietà di me: non mi hai mai svergognato sul palcoscenico di nessuna storia. A quattr’occhi, avendo pietà, mi ha spogliato.

Ringrazio quel post lurido, pur condannandolo. Mi ha ricordato chi sono io come prete, quando mi dimentico che senza Dio non sono nessuno: un misero uomo che gioca con la tastiera come un tempo giocavano con la ghigliottina. La grazia di Dio, però, batte tutti, batte tutto: anche nei nostri fuori onda linguistici, è capace d’infilarci dentro una ballata delle sue, perché nessuna porta sia chiusa per sempre, neanche quella dell’anima di un sacerdote. Rileggete la domanda di quel post: “Ma dovrei provare pietà?” E’ diamante di zaffiro in fiume di fango.





© RIPRODUZIONE RISERVATA

I commenti dei lettori