ISIS HA GIUSTIZIATO 6MILA PERSONE/ Il Nulla dell’occidente ha vinto anche nel deserto

- Raffaele Iannuzzi

E' il numero delle esecuzioni del Califfato dal 2014 a oggi in Siria. Il fatto lascia molti indifferenti. Perché il linguaggio non evoca più la realtà. Come aveva dimostrato Ma

isis_califfo_al_baghadi_terrorismo_califfato_daesh_moschea_lapresse_2017 Il "Califfo" Al Baghdadi (LaPresse)

Nel biennio 1928-1929 il mondo fu percosso da un incantesimo estetico e percettivo, frutto del genio di René Magritte, il pittore surrealista belga, che realizzò un dipinto a olio su tela, conservato nel Los Angeles County Museum of Art. Titolo dell’opera: La Trahison des images (Il Tradimento delle immagini). Magritte dipinse una pipa, contestando, simultaneamente, che l’immagine raffigurasse oggettivamente una pipa, scrivendo questo testo, come una didascalia sottostante: Ceci n’est pas une pipe – Questo non è una pipa.

Michel Foucault, nel 1973, scrisse un breve e acuto saggio su questo incantesimo estetico e percettivo: “Ciò che sconcerta – osserva il filosofo francese – è la necessità inevitabile di riferire il testo al disegno (come ci invitano a fare il pronome dimostrativo, il senso della parola pipa, la verosimiglianza dell’immagine) e l’impossibilità di definire il piano che permetterebbe di dire che l’asserzione è vera, falsa, contraddittoria”.

Ecco, traduciamo l’operazione di Magritte nell’ambito della comunicazione contemporanea: abbiamo di fronte a noi un fatto, riferito dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). Il fatto è netto, chiaro, tragicamente nitido: dal giugno 2014, ossia dall’annuncio del “califfato” a guida del “califfo” Abu Bakr al Baghdadi, l’Isis ha giustiziato – decapitando, impiccando e defenestrando – qualcosa come 6.209 persone, fra i quali 3.691 civili, inclusi 128 minori, perfino bambini, e 180 donne.

La materia e la sostanza di questo fatto sono tangibili e dovrebbero spostare significativamente l’attenzione dei media su un pericolo ancora incombente, persistente e acuto come un pungiglione che reca morte a uomini, donne e bambini innocenti. E’ l’Isis, il cosiddetto “califfato”, qualcuno ricorda ancora di cosa stiamo parlando? Non è il frutto delle elucubrazioni sociologiche sulle generazioni di “lupi solitari” arruolati nelle sue fila, in Italia e altrove, come parimenti non è il perimetro insanguinato della Siria, con il portato di mosse geopolitiche annesse, ma è l’islam in guerra contro di noi, da sempre.

Eppure…”Questo non è una pipa”, ossia “Questo non è (più) l’Isis”, il nemico che eleva la umma a quadrante della violenza coranica; no, non di questo si tratta. Perché la materia non c’è più, è stata derubricata: “Questo non è una pipa”. Come si fa a dire che ciò sia vero, falso o contraddittorio? Seguendo l’interrogativo posto da Foucault, lo scenario non fa altro che inquadrare, a tinte fosche, il nichilismo perbenista e votato alla rimozione del Perturbante, di ciò che osa sfregiare l’immagine illusoriamente trasparente di una civiltà europea e occidentale, nel suo complesso, che gioca a dadi col destino, non avendo chiaro la finalità del suo agire.

Tra la retorica delle commissioni della Ue e il circolo delle élites di Davos, con i necessari corollari di verbosità promossi dal Fmi, tutto scorre, in questo mondo, come se Magritte avesse vinto su tutta la linea: “Questo non è una pipa”. Io dipingo una pipa, ma dichiaro che non di essa stiamo parlando, perché il linguaggio non evoca più la realtà e non è più fatto per pensare la realtà, ma solo per comunicare che di realtà non si tratta più. Ma solo di didascalie che, a fronte dell’immagine, dichiarano il tradimento delle immagini come tali.

Tra il nichilismo europeo-occidentale e l’islam dei tagliatori di teste c’è in mezzo tutto ciò che non vogliamo più richiamare alla memoria e di cui non vogliamo più farci carico. Ci congediamo dalla rabbia e dall’orgoglio di Oriana Fallaci e derubrichiamo a passatismo reazionario il movimento americano anti-islam in armi, frutto del “siamo tutti americani”, post-11 settembre 2001. Oggi siamo diversi, non possiamo più incanaglire menti e cuori guardando attoniti e sconcertati i video delle decapitazioni, tutto è finito, è un’epoca che non c’è più, oggi domina la retorica urlata e impotente della Crisi, i sabati dei gilet gialli, i nuovi travet della rivoluzione senza scopo, tutto, così, transita altrove, perché così deve essere.

Siamo da un’“altra parte”: dove? Nessuno lo sa, ma che nessuno osi mettere in discussione questo dogma rimasticato da tutti, élites della globalizzazione finanziaria e plebei arrabbiati. Il Nemico siamo noi, noi siamo il Perturbante, non c’è niente che possa abbatterci dall’esterno, l’Occidente, in fondo, ha vinto. Perché il nulla vince nel deserto, senza resistenze e ostacoli materiali, è la danza di Zarathustra sul monte, mentre il mondo brucia. L’avanguardia dei nichilisti, artisti della rimozione, può infine auto-giustificarsi, perché è questa la vittoria dell’Occidente che fa comodo al Fmi, all’Ue e ai cantori di Davos: ascoltare musica barocca mentre i popoli stentano a rimanere in piedi.

Un bel quesito per i “sovranisti”: esiste “sovranità” senza l’imperiosa sovranità dell’individuo, il quale, ricordando ciò che uccide il suo mondo, può ancora ricostruire in mezzo alle macerie?





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