I giorni tra Natale e capodanno sono quelli dei “bilanci”. Capita un po’ a tutti, magari ritagliando un piccolo spazio tra le mille cose da fare, di pensare a che cosa sia successo nell’anno che finisce e stilare qualche proposito per quello che arriva.
Lo si fa anche in carcere, pur essendo vero che non sono molte le cose che dipendono dall’iniziativa personale e dunque che possano essere rendicontate in questa particolare contabilità. Più che altro, infatti, ci si chiede come sia andato l’anno sotto il profilo emotivo, sentimentale… spirituale. Poche cose fatte o da fare, ma giorni vissuti e altri che verranno, cui dare senso e valore.
Così, nel riflettere su questi argomenti, ho realizzato che il 2022 mi ha portato via parecchi amici. Alcuni erano anziani e malati: la natura ha fatto il suo corso, potremmo dire. Ho anche la consapevolezza che adesso sono in una dimensione migliore: erano persone di fede, buone e operose, per cui saranno a godersi il loro premio. Ma rimane il distacco, doloroso e non sanabile.
Proprio nei giorni del Natale mi ha raggiunto anche la notizia – purtroppo attesa, perché sapevo della sua seria malattia – che ha chiuso l’esistenza terrena anche Cesare Cavalleri, un altro amico cui devo molto: negli anni della mia giovinezza, collaboravo al suo Studi Cattolici e ci siamo ben conosciuti. Ricordo con vivo piacere le lunghe chiacchierate nel suo studio affollato di “gente di carta”, come lui chiamava i libri, dove mi consigliava, correggeva, indicava percorsi… È stato una guida preziosa e ha continuato a esserlo fino alla fine.
E non solo. L’anno è finito con il transito del Papa emerito Benedetto XVI: “amico” pure lui non sul piano della conoscenza personale, ma perché impareggiabile maestro: quanto ho imparato dai suoi testi! Come era bello ascoltarlo nelle lezioni! Quanta ricchezza di pensiero in un’umanità dolcissima, che traspariva in ogni atto.
Insomma, mi sono ritrovato a dirmi che il 2022 è stato proprio faticoso, denso di addii, di relazioni che si interrompono, di lettere non più scritte né ricevute, di notizie che non saranno scambiate. E ho considerato che in questi lunghi anni di prigionia già moltissime volte ho dovuto prendere commiato da tanti “che mi corrispondevano”, prendendo in prestito da Ungaretti questa definizione.
Non posso negarlo: mi è venuta una botta di malinconia, anticamera della tristezza.
Sbagliato.
Proprio nei giorni che avviano il nuovo anno, forse anche perché stavo leggendo il bel libro scritto dall’amico Giorgio Paolucci che si intitola Cento ripartenze, mi ha sorpreso un’emozione così diversa che ho portato quasi vergogna per quell’ombra di mestizia. Tutti quegli amici non sono “scomparsi”, come malamente si dice. Hanno cambiato casa. Anzi, ora sono a Casa. Sono in Pace, sono immersi nella Gioia. Perché rattristarsene?
Va riconosciuto il distacco, perché nel loro trasferirsi hanno inevitabilmente lasciato il vuoto che occupavano, ma non è causa di angoscia: ci rivedremo là e già ora, in qualche modo, si può continuare un contatto che non avrà deviazioni, né esitazioni, in attesa della grande e vera Ripartenza.
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