Sudest asiatico in primo piano per la guerra tra Cambogia e Thailandia, intanto il Myanmar, cruciale per la Cina, è in una situazione disperata
Caro direttore,
approfitto del recente conflitto fra Cambogia e Thailandia per sperare che l’attenzione del mondo si rivolga anche sul quadrante del Sudest asiatico.
Capisco naturalmente che siate concentrati sui conflitti più esplosivi e a voi più vicini. La guerricciola tra Thailandia e Cambogia ha l’unico scopo di polarizzare reciprocamente su un nemico esterno le tensioni presenti all’interno dei due Paesi.
Ma veniamo a casa nostra. La situazione per la popolazione birmana è disperata. Lo scrivo da mesi. Ormai è una frase fatta, ma il punto è che questo sembra non avere mai fine e ha voluto dire concretamente migliaia di morti. Riassumo i punti più drammatici.
Nessuno entra e nessuno esce dalla Birmania. Questo nel mio vocabolario si addice a due sole strutture: carceri e manicomi. Contatti con l’estero: molto rischiosi. Io stesso scrivo pregando che nessuno mi “azzanni” (così si dice qui). Come ebbi già modo di scrivere: viviamo in un enorme carcere a cielo aperto.
Ma a parte questo “dettaglio”, il punto drammatico è che viviamo in un Paese dove ai militari è consentito tutto. Quando dico tutto intendo tutto. È ormai inutile farvi l’elenco degli eccidi perpetuati o delle “piccole” violenze quotidiane a cui siamo sottoposti.
A tutto questo si è aggiunto il terremoto devastante che ha ridotto in rovina milioni di persone. La situazione sanitaria, già allo stremo (vedasi i miei racconti precedenti), con il terremoto è definitivamente collassata. Le medicine si trovano solo al mercato nero senza nessun controllo sulla loro validità. Le scuole funzionano come possono. I giovani si sono dati alla macchia, gli altri sono stati obbligati all’arruolamento e mandati in battaglia con zero addestramento (per fortuna!). Ci sarà di nuovo una generazione di ragazzi senza istruzione.
Nelle campagne manca la mano d’opera. I prezzi sono alle stelle: mancano petrolio e fertilizzanti. L’energia elettrica è saltuaria. La conservazione del cibo è un grosso problema.
Le risorse naturali del Paese vengono depredate e i profitti inviati all’estero sui conti correnti dei generali. Non solo: di fronte a un governo totalitario che si appropria di ogni cosa, le organizzazioni umanitarie internazionali sono in difficoltà nell’inviare cibo, manufatti, attrezzature, vestiari, medicinali, ecc.
La ricostruzione non è mai cominciata perché ogni tentativo si scontra con richieste di tangenti. La Chiesa cattolica riesce a fare quello può fare. La diocesi di Mandalay, la più colpita dal terremoto, è in ginocchio. Tutte le varie confessioni religiose si muovono per sostenere il popolo. Ma poco possono fare contro la violenza e protervia dei militari. O meglio: se i monaci buddisti si esponessero, la giunta cadrebbe in pochi giorni come accadde nel passato.
Dal punto di vista militare le cose stanno come già mesi fa ti descrissi: il governo controlla le parti centrali del Paese (e limitatamente ai grossi centri urbani) e poi “hic sunt leones”. Io continuo a sostenere che però non c’è una reale volontà neanche da parte dei capi delle milizie etniche di sovvertire la situazione: parlavo dei “ladri di Pisa” alludendo a quell’aforisma in cui si dice che i ladri di giorno litigano fra di loro e alla notte vanno a rubare insieme. È una guerra guerreggiata dove chi ne fa le spese è la popolazione, mentre i ladri si spartiscono i profitti. Occorre un soggetto esterno.
In ogni caso, capisco che Ucraina e Israele siano oggi il focus dei problemi come prima era l’Afghanistan e che il nostro Paese non sia mai una priorità, ma temo che qualcuno sottovaluti il caso. L’Occidente non capisce, come dico dal primo giorno, che il golpe teleguidato da Pechino è uno dei gangli strategici su cui si può arginare la potenza cinese.
Qui – per un lungo retaggio storico – nessuno ama i cinesi. Il “grande vicino” ha sempre fatto paura, l’esperienza del Tibet (stessa etnia e stessa religione dei birmani) lo ha confermato e il fatto che in questi anni i cinesi si siano appropriati di molte aziende birmane (piccole, medie e grandi) lo ha rafforzato. Oggi probabilmente non si arriverebbe all’annessione come per il Tibet ma la sostanza è quella. Non è necessario. Si può controllare un Paese senza necessariamente invaderlo.
Ricordiamo tutti l’esperienza dei Paesi dell’Est Europa. Infatti, quando i poteri esecutivo, legislativo, giudiziario sono in una sola mano, basta controllare quella mano. Salvo poi intervenire se quella mano non risponde ai diktat (Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia).
E questo è intollerabile per chi, anche se per pochi anni, ha vissuto in libertà, seppur condizionata. Insomma la gente desidera la libertà: magari non sul modello occidentale tout court, ma in salsa orientale (leggasi “Thailandia”). Mi auguro di risentirci.
(Un lettore dal Myanmar)
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