Delitto di Cogne: cos’è successo al piccolo Samuele Lorenzi? Il bimbo di 3 anni, secondo la ricostruzione processuale, fu ucciso dalla madre Annamaria Franzoni nella villetta di famiglia in frazione Montroz, nel cuore della Valle d’Aosta. Un omicidio efferato destinato a restare impresso nella storia della cronaca nera italiana per tutta una serie di elementi oscuri, dalle dichiarazioni della mamma alla dinamica con cui sarebbe stato commesso il crimine.
Dalla sentenza di Cassazione a carico della donna, condannata in via definitiva nel 2008 a 16 anni di reclusione e oggi libera dopo aver scontato la sua pena, emerge la seguente cronologia dei fatti immediatamente successivi alla morte del bambino: “La mattina del 30 gennaio 2002, alle ore 8.27, Annamaria Franzoni telefonava dal proprio cellulare alla dott.ssa Ada Satragni, suo medico curante e vicina di casa, comunicandole che il figlio Samuele, di 3 anni e 2 mesi, perdeva sangue dalla bocca e che ‘gli era scoppiato il cervello’“. Meno di un minuto dopo quella drammatica notizia, la telefonata di Annamaria Franzoni al 118 nella quale riferiva che suio figlio “vomitava sangue”. Ancora un minuto e, alle 8.29, la donna avrebbe contattato la ditta dove lavorava il marito, Stefano Lorenzi, per dire ad una collega che “il piccolo era morto”.
Cogne: l’arrivo dei soccorsi a casa di Annamaria Franzoni, il corpo di Samuele Lorenzi e l’inizio del giallo
Subito dopo quelle drammatiche telefonate fatte da Annamaria Franzoni, il delitto di Cogne iniziò ad assumere i suoi contorni più sinistri con il sopraggiungere delle prime persone sul posto. “Nell’ordine – si legge in sentenza – sopraggiungevano nell’abitazione della famiglia Lorenzi” una vicina di casa “la quale constatava la presenza di Samuele supino sul letto matrimoniale, con la faccia e la testa insanguinate, che si lamentava ed emetteva dei suoni, aprendo e chiudendo gli occhi“, poi il medico di base Satragni “la quale trovava il bimbo ‘collassato in una pozza di sangue’, coperto fino all’inguine od alla cintola, con ferite al capo, da una delle quali fuoriusciva materia cerebrale, ancora gemente e con polso carotideo“.
Per ultimo, il medico dell’elisoccorso atterrato per prestare la prima assistenza al bambino nelle concitate fasi dell’emergenza. Stando alla rilevazione del dottore, a quell’ora ormai “il piccolo era in stato comatoso terminale, con respiro ‘automatico’ e non più reattivo agli stimoli“. La morte di Samuele Lorenzi, come cristallizzato agli atti dell’inchiesta, fu dichiarata alle 9.55 presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di Aosta. A nulla valsero i tentativi disperati dei sanitari per cercare di salvarlo. Così ebbe inizio il giallo di Cogne e di un’indagine complessa e senza precedenti.
Il nodo irrisolto dell’arma del delitto e la condanna di Annamaria Franzoni per l’omicidio di Samuele Lorenzi
L’arma del delitto di Cogne, così come il movente dell’omicidio del piccolo Samuele Lorenzi, resta un enigma irrisolto. L’oggetto contundente con cui il bimbo fu massacrato, colpito più volte e ucciso nella casa dove viveva con i genitori e il fratello maggiore, non è mai stato ritrovato né si è giunti ad una individuazione nitida di cosa fosse.
Nel corso delle indagini e del processo a carico di Annamaria Franzoni, concluso nel 2008 con la sua condanna definitiva a 16 anni di carcere, l’orientamento dei consulenti di parte si è mosso su due principali ipotesi: uno zoccolo tipo sabot di legno oppure un pesante arnese di rame (essendo stata trovata traccia di quest’ultimo su una delle ferite riportate dalla vittima). Samuele Lorenzi sarebbe stato ucciso brutalmente con almeno 15 colpi concentrati sulla testa. Una delle piste ritenute verosimili è che l’assassino avesse usato un oggetto pesante ma “agevolmente impugnabile“, “dotato di manico di una certa lunghezza” per consentirne “il brandeggio e giustificare gli schizzi di sangue dallo stesso lasciati sul soffitto della stanza”. Il delitto, secondo la ricostruzione emersa dal racconto di Annamaria Franzoni e incrociato con gli orari delle sue telefonate di quella fredda mattina di gennaio, si sarebbe consumato in meno di 10 minuti prima di diventare un caso mediatico indelebile nella storia italiana. La donna disse di essere uscita di casa intorno alle 8.16 per accompagnare il figlio Davide alla fermata dell’autobus. Tornata a casa alle 8.24, avrebbe scoperto l’orrore. Secondo i giudici, nessun intervento di terzi sulla scena del crimine: ad agire, colpendo violentemente e in rapida successione, sarebbe stata proprio la madre.