In Italia a giugno il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 20,1%. Un dato che colpisce, ma che va letto con attenzione
Chi mi legge sa che cerco sempre di confrontarmi con i dati, per capire se ciò che vedo nel mio quotidiano trova riscontro nelle statistiche. In particolare, i dati dell’Istat permettono di osservare la realtà con maggiore precisione: per quantità, con campioni rilevanti, e per qualità, essendo un’istituzione autorevole. Una vera bussola.
Così, anche stavolta, sono partito da lì. I dati di giugno 2025, usciti il 31 luglio, fotografano un quadro generale positivo: +16 mila occupati in un solo mese, tasso di occupazione al 62,9%, livelli da record.
Poi, però, c’è quel numero che stona: disoccupazione giovanile al 20,1%, fascia 15-24 anni. Letto così, secco, colpisce. A me, ogni volta che lo vedo, torna in mente l’urlo di Munch…
Ma chi lavora ogni giorno con i giovani, nella formazione professionale e nei percorsi verso il lavoro, non ha la percezione di trovarsi davanti circa 281 mila ragazzi fermi, in attesa, in cerca di lavoro. Così ho provato a guardare quel numero più da vicino, sapendo che qualcosa mi sfugge e forse ci sfugge, ma con l’idea che capirlo meglio possa aiutarci a raccontare le cose con più precisione e meno allarme.
Quel 20,1% da dove arriva? Ovviamente, non rappresenta tutti i giovani, ma solo quelli che fanno parte della forza lavoro: cioè chi lavora (1.117.000) e chi cerca lavoro (281.000). Totale: 1.398.000. I circa 281 mila disoccupati rappresentano quindi il 20,1% di quel gruppo.
Secondo Istat, è «disoccupato» chi: non ha un lavoro; è disponibile a lavorare entro due settimane; sta cercando attivamente lavoro (ha inviato CV, sostenuto colloqui, si è iscritto al Centro per l’impiego).
Giusto. Ma quel numero è difficile da interpretare e soprattutto, più che parziale è fluido. Perché dentro c’è un mondo che si muove.
In Italia, ogni anno, vengono attivati circa 750.000 tirocini extracurriculari, sono quelli fuori dal percorso scolastico, svolti in azienda o in studi liberi professionisti. Sono, circa 900.000 i tirocini curriculari, quelli che fanno gli studenti universitari, degli Its o di percorsi professionalizzanti e non solo, svolti sempre in tante realtà lavorative, con lo scopo di “capire come si fa a fare per davvero”. Quindi, più di milione e mezzo di giovani fa un tirocinio ogni anno.
Chi fa un tirocinio non risulta occupato a tutti gli effetti. Molto probabilmente, ma non necessariamente, sta cercando attivamente, fa colloqui e invia CV. Quindi può rientrare perfettamente tra i 281 mila considerati disoccupati, anche se è inserito in azienda, con un tutor e un programma formativo. Questo dimostra quanto questi numeri siano davvero molto fluidi e come non è banale fare una foto.
Attorno a quel numero, 281 mila, ruota un’intera galassia di ragazzi in movimento. Alcuni sono a un passo dall’assunzione. Altri si trovano in una fase di transizione: sono in Naspi dopo un contratto stagionale, ma già impegnati in un nuovo percorso formativo.
C’è chi sta frequentando un Its, un master, o svolge lavoretti saltuari, non abbastanza “solidi” da essere registrati come occupazione.
E poi c’è chi è all’estero: studia la lingua, fa un Erasmus, lavora in modo informale e rientrerà tra qualche mese. Ma intanto continua a cercare lavoro: i colloqui ormai si fanno anche online.
Tutta questa situazione continuava a lasciarmi un po’ inquieto. Così ho contattato l’Istat e ho avuto il piacere di fare una chiacchierata che mi ha aiutato a capire meglio con Cinzia Graziani, ricercatrice dell’istituto, che si occupa proprio di queste rilevazioni e che desidero ringraziare per la disponibilità, la chiarezza e soprattutto la pazienza che mi ha dimostrato.
La dottoressa Graziani mi ha confermato che la rilevazione è capillare: ogni trimestre coinvolge circa 60.000 persone, i dati sono affidabili e incrociati su più livelli. Ma (e qui sta il punto) anche lei ha confermato che tra quei circa 281 mila disoccupati possono tranquillamente esserci ragazzi che, pur cercando attivamente lavoro, sono coinvolti in altro, come già accennato.
Ragazzi che stanno cercando lavoro a tempo pieno, hanno inviato CV, fatto colloqui, magari in video da Dublino o Berlino…, ma che nel frattempo sono iscritti a un master, a un Its, stanno facendo altro. Cercano, sì. Ma non solo: sono in movimento.
E allora forse serve uno sguardo più dinamico. Dopo il confronto con la dottoressa Graziani, mi è ancora più chiaro: i numeri vanno letti per quello che sono, ma anche per ciò che (ancora) non riescono a raccontare. Ma presto (forse) lo faranno.
L’urlo si sfuma. Quel 20,1% non è bello da leggere. Ma non è neanche un muro. È una fotografia in controluce. E se la guardiamo meglio, quell’urlo di Munch inizia a sfumare. Al suo posto si intravede un’impressione: il sole nascente di Claude Monet. Non fa rumore, è sfumato, ma c’è. Ed è una buona notizia.
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