Gianluigi Donnarumma e Gianluigi Buffon: nome di battesimo (e talento in comune), età anagrafiche diverse. Il primo si è recentemente laureato campione d’Europa con la Nazionale italiana a Euro 2020 e si è trasferito in estate al PSG, dove percepisce un ingaggio pari a 12 milioni di euro annui; il secondo, a 43 anni, quando la stragrande maggioranza dei portieri appende i guanti al chiodo, ha deciso di dire addio per la seconda volta alla Juventus per fare ritorno al Parma, il club che lo ha lanciato fra i grandi quando era un adolescente e che ora milita in Serie B.
C’è un’altra sostanziale differenza, tra loro: Donnarumma, nel super PSG dei campioni, capace nella stessa estate di ingaggiare stelle del calibro di Leo Messi, Sergio Ramos, Hakimi e Wijnaldum, se ne sta seduto in panchina, a fare, per ora, da riserva a Keylor Navas, estremo difensore capace di agguantare tre Champions League in carriera (nessuna, però, con indosso la casacca del club parigino). Buffon, invece, è titolare nei ducali, nella serie cadetta. Non gioca accanto a nomi ultra-blasonati e venerdì sera non è neppure riuscito a centrare il successo nella giornata d’esordio contro il Frosinone (2-2 lo score finale). Eppure, SuperGigi è ancora lì, a volare tra i pali.
DONNARUMMA O BUFFON, CHI STA MEGLIO?
La domanda, dunque, non può che essere una sola: chi è più felice, oggi? Donnarumma, che non gioca ma guadagna uno stipendio che al Milan, stanti le condizioni attuali, non sarebbe mai stato avvicinabile, o Buffon, che, al tramonto della carriera, decide di scendere di categoria pur di respirare ancora le emozioni del calcio giocato da protagonista e non da semplice comprimario? La risposta è ardua, in quanto ciascuno di noi ha una propria, personale definizione di felicità.
Un problema che esiste osservando anche altri calciatori: da una parte c’è Cristiano Ronaldo, sempre e comunque insoddisfatto, a prescindere dall’entità del contratto e dal numero di gol segnati. Dall’altra, c’è Borja Valero: “Con il pallone ho smesso di divertirmi il giorno in cui ho varcato la soglia del centro di formazione del Real Madrid, a undici anni. Tra quelli che c’erano, nove su dieci non hanno sfondato: hanno sacrificato l’adolescenza per niente”. Oggi indossa con orgoglio la maglia del Lebowski, tra i dilettanti, nella sua Firenze. Ed è felice.