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Home » Esteri » Medio Oriente » ERDOGAN/ Tutte le opzioni del “sultano”, al bivio tra proteste, Ue e mire del blocco arabo sunnita

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ERDOGAN/ Tutte le opzioni del “sultano”, al bivio tra proteste, Ue e mire del blocco arabo sunnita

Giorgio Laici
Pubblicato 16 Aprile 2025 - Aggiornato alle ore 15:05
Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE (Ansa)

Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, con Ursula von der Leyen, presidente della Commissione UE (Ansa)

La Turchia di Erdogan guarda all'Ue e ai Paesi del Golfo. Ma deve scegliere dove collocarsi: con gli arabi rischierebbe un ulteriore deriva autoritaria

Negli ultimi anni la Turchia si sta evolvendo in due direzioni sempre più divergenti. Una linea di sviluppo è industriale militare: Ankara ha acquisito per esempio Piaggio Aerospace e aperto una collaborazione con Leonardo. Sempre la Turchia si è offerta come braccio militare dell’UE per agevolare la sua integrazione europea, ha cercato di aprire una base navale NATO in Albania e ha sbarrato la strada ai russi in Libia. Senza dimenticare il ruolo nella recente rivoluzione siriana, che ha portato all’estromissione dei russi e degli iraniani da quel territorio.


Papa Leone XIV in Turchia: “mai cedere alle derive della guerra”/ Erdogan: “vista aumenta speranze di pace”


La Turchia grazie alla finanza qatariota, è diventata un’importante leva economico militare del blocco arabo sunnita in funzione anti Iran ed è notizia di ieri che sta intraprendendo in collaborazione con l’Iraq lo sfruttamento di giacimenti petroliferi nell’Oceano Indiano.

L’altra direzione è quella politica interna, che attraverso il peggioramento dello stato di diritto allontana il Paese dal vecchio continente a cui aspira ad avvicinarsi.


UCRAINA/ “Erdogan mediatore per Trump e Putin, segni chiari che si parla dell'uscita di Zelensky”


Venendo alla cronaca, le forti proteste e la dura reazione del regime in Turchia con l’arresto del sindaco di Istanbul e principale rivale politico di Erdogan, Ekrem Imamoglu, cui fa seguito in questi giorni la notizia della liberazione di alcuni dimostranti, non hanno suscitato reazioni di condanna in Occidente. Ad eccezione del Consiglio d’Europa che ha criticato apertamente la repressione del regime turco. Anche se le conseguenze delle proteste, oltre che rilevanza interna, potrebbero assumere rilevanza internazionale nello scacchiere mediterraneo. Anche l’Italia tace, poiché deve alla benevolenza turca la sua presenza in Libia.


ARRESTO ALMASRI/ "Dbeibah ha dietro gli Usa, ora c'è una nuova Libia basata sugli affari. E l'Italia..."


Recep Tayyip Erdogan, dodicesimo presidente della Repubblica turca, leader del partito Giustizia e Sviluppo (AKP), è un fermo sostenitore dell’islamizzazione dal basso e dell’islamizzazione della società, in contrapposizione invece al concetto di statalizzazione dell’islam perseguita in Iran.

All’inizio del suo governo Erdogan ha consolidato il potere grazie al raggiungimento di buoni risultati economici. Ma le tensioni dovute all’autoritarismo del suo governo hanno portato al fallito golpe nel 2016 e a contrasti interni sempre più forti conseguenti alla modifica costituzionale che ha trasformato la Turchia in uno stato presidenziale. La modifica al testo nel 2017, inoltre, ha generato conflitti interpretativi per i quali Erdoğan ha giustificato il suo secondo mandato, (2018-2023) come il primo del nuovo ciclo presidenziale. Di conseguenza, dal 2023, il suo ruolo si è esteso sino al 2028, e il presidente ha già espresso l’intenzione di ricandidarsi.

Con la riforma è cambiata anche la postura internazionale della Turchia, secondo esercito NATO, che è diventata più assertiva verso l’Europa e la stessa Alleanza Atlantica. Basta vedere la gestione delle rotte migratorie, l’equidistanza con la Russia e i Paesi BRICS pur rimanendo Paese NATO, la postura in Libia e in Siria, per capire la sterzata geopolitica turca. Per rafforzare la sua base di potere Erdogan ha dato il via a una maggiore proiezione estera della potenza turca, con la quale il “sultano” ha inteso attuare una politica neo-ottomana che appagasse le masse anatoliche anti-occidentali che lo hanno messo in sella, e tuttora, con forza maggioritaria, lo sostengono. Le opposizioni filo-occidentali curde, cittadine e mediterranee che gli si oppongono, per quanto forti, sono minoritarie nel Paese. Un attore primario delle proteste sono anche i giovani contrari all’islamizzazione della società. Imamoglu è di fatto il leader dell’opposizione per i suoi messaggi di trasparenza ed anticorruzione molto sentiti dall’elettorato. Il suo arresto è stato interpretato come una mossa per eliminare chi rappresentava una minaccia per il regime.

Detto questo, se nel breve termine Erdogan non dovesse, attraverso il dialogo e qualche concessione, superare la crisi interna facendo migliorare i rapporti con l’Occidente, favorendo un riavvicinamento strategico alla NATO e all’UE e, a distanza, favorire riforme dando seguito alle richieste del tessuto sociale turco, accadrebbe che l’intensificazione delle azioni repressive da parte del governo renderebbero le proteste più violente, con possibili atti di terrorismo in una strategia della tensione che potrebbe permettere a Erdogan di restare in sella, isolandolo dal panorama internazionale, con risvolti anche economici.

Alla lunga l’isolamento potrebbe spingere la Turchia a stringere rapporti con regimi autoritari. In questa ottica un ruolo non minoritario lo avrebbero le monarchie sunnite del Golfo, sponsor potenti dell’economia turca, le quali non vedrebbero di buon occhio uno stato di diritto, trasparenza e democrazia farsi largo nel loro blocco geopolitico.

Erdogan si è dimostrato un leader pragmatico e capace di gestire equilibri sottili tra est ed ovest, tra nord e sud del mondo, ma ora è a un bivio. Da una parte l’Europa che garantirebbe un ottimo mercato per la sua economia, e che porterebbe la Turchia nel benessere occidentale, ma che fino ad ora si è dimostrata riluttante ad accoglierlo nel club del benessere. Dall’altro il blocco arabo, che sta cercando in ogni modo di inglobarlo per estendere la sua influenza sul Mediterraneo in vista del disimpegno USA.

Ma che sarebbe un alleato molto meno malleabile. Erdogan nel suo governo ha dimostrato di essere un ottimo equilibrista, ma se vuole mantenere il potere ha davanti una scelta che farà la differenza.

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